05 aprile 2020 15:00

Gli Stati Uniti sono il primo paese al mondo per numero di contagiati dal nuovo coronavirus. Il governo, finalmente, si è rassegnato all’idea che tutti debbano restare in casa. Questo, tra le altre cose, significa che un popolo particolarmente “malato” di sport ha tantissimo tempo libero e nessun campionato da seguire. Ognuno si arrangia come può: tanti appassionati di basket stanno guardando le partite alla PlayStation tra giocatori famosi, trasmesse da Espn; altri hanno cominciato a scommettere sui campionati di paesi di cui fino a ieri non immaginavano nemmeno l’esistenza (sembra che le puntate sul calcio bielorusso e sul basket del Tagikistan siano in forte crescita).

Gli americani, come tutti gli altri, fanno fatica a vivere in lockdown. Ma diversamente da tutti gli altri sono abituati ai lockout, cioè al fatto che le leghe sportive rimangano ferme per mesi, solitamente per motivi legati alla ripartizione degli introiti. Se si considerano i campionati di basket, baseball, hockey e football, dagli anni sessanta a oggi i giocatori hanno “scioperato” almeno quindici volte.

Nel 2011 il basket si fermò per 161 giorni, tra il primo luglio e l’8 dicembre. In quel periodo i giocatori, non potendo scendere in campo in amichevoli ufficiali, si organizzarono per conto loro. Chris Paul, che all’epoca giocava a New Orleans, radunò alcuni dei suoi amici/rivali per una partita di beneficenza nella sua città d’origine, in North Carolina. Non fu un caso isolato. Per tutta l’estate alcuni dei migliori giocatori del mondo si affrontarono in piccoli palazzetti e palestre di quartiere, con il pubblico che premeva a bordo campo e telecronisti improvvisati che commentavano le azioni urlando dentro microfoni scadenti.

È rimasta nella memoria di molti la partita che si giocò il 30 agosto, a Baltimora. Da una parte la Melo League, squadra creata da Carmelo Anthony, il padrone di casa; dall’altra la Goodman League, nata nel 1977 a Berry Farm, quartiere nero e povero di Washington. LeBron James, il giocatore più forte del mondo, contro Kevin Durant, il giovane emergente che sognava di prendere il suo posto. Verdi contro rossi. La partita si sarebbe dovuta giocare in una piccola palestra, ma il caldo e l’enorme richiesta di biglietti convinsero i giocatori a spostarsi nel palazzetto della Morgan State university, che poteva contenere 4.500 persone. I biglietti – 40 dollari per le tribune e 100 per stare a bordo campo – venivano venduti in ordine di arrivo e finirono in pochi minuti. Di quella giornata è rimasto un lungo video, anch’esso improvvisato, ma che merita di essere visto per intero.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Per lunghi tratti fu un battaglia di uno contro uno e isolamenti tra James (che giocava col numero 10) e Durant (numero 22), con gli altri a fare da comparse. Durant segnò 59 punti ma perse (149 a 141) la partita, anche perché gli altri due giocatori più forti della sua squadra, DeMarcus Cousins e Brandon Jennings, non si presentarono al campo.

A guardarlo oggi, si può dire che quel duello a Baltimora era un assaggio di ciò che sarebbe successo nell’immediato futuro. Pochi mesi dopo LeBron James, all’epoca ai Miami Heat, vinse il suo primo titolo Nba, battendo in finale la squadra guidata da Durant, gli Oklahoma City Thunder. Per Durant fu la prima di una serie di sconfitte sempre più brucianti che alla fine lo portarono a trasferirsi ai Golden State Warriors, rafforzando ulteriormente quella che era già considerata una delle squadre più forti di tutti i tempi e stravolgendo l’Nba. Tra tanti cambiamenti, una cosa è rimasta inalterata: LeBron James è ancora il giocatore più forte del mondo, e Durant sta ancora cercando di prendere il suo posto.

Bryant contro Harden
Quell’estate si giocò anche una partita a Los Angeles tra due squadre guidate da Kobe Bryant, che all’epoca aveva 33 anni, e James Harden, uno dei giovani più promettenti della lega. Due giocatori a cui non è mai piaciuto passare il pallone, figurarsi in una partitella del genere. La palestra era minuscola e gli spettatori erano così vicini alle linee laterali che i giocatori andavano a sbatterci contro dopo aver tirato. Il finale di partita è in qualche modo un tributo alla carriera di Bryant, morto il 26 gennaio di quest’anno in un incidente di elicottero.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Per finire un video con le 50 migliori giocate di quell’estate.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

(Testo di Federico Ferrone e Alessio Marchionna)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it