27 aprile 2020 16:47

Un giorno un intervistatore chiese alla cantautrice statunitense Rickie Lee Jones: “Com’erano i cieli quando eri ragazza?”, lei con voce un po’ raffreddata rispose qualcosa tipo: “Ooooh… non finivano mai. Noi, noi… vivevamo in Arizona e in cielo c’erano sempre queste soffici nuvolette… i cieli erano lunghi, trasparenti… c’erano un sacco di stelle la notte. E quando pioveva si trasformava… erano belli, erano i cieli più belli, sul serio. Mmmh… i tramonti erano viola e rossi e gialli, in fiamme, e le nuvole prendevano quei colori dappertutto… Era fico, perché… be’ perché da bambina guardavo sempre il cielo… ora non li vedi più quei cieli… forse nel deserto…”.

Rickie Lee Jones non poteva sapere che quella sua vecchia intervista un po’ sgangherata sarebbe stata campionata, nel 1990, dal duo ambient-dub britannico The Orb in Little fluffy clouds, una canzone carezzevole, stupidamente euforica, in cui avvolgersi come in una coperta dopo aver ballato tutta la notte in vari stati di alterazione. Little fluffy clouds era la canzone da sentirsi in cuffia la domenica a mezzogiorno, dopo una nottata passata a ballare, mentre in tv andava un episodio dei Teletubbies senza volume. Tanti bei colori accesi, nessun filo logico, un pezzo che sembra uscire da un sound system lontano, inabissato nell’oceano, con la voce amichevole di Rickie Lee che ti descrive i cieli infuocati dell’Arizona. Gli Orb avevano un piede nella techno e l’altro nel dub e all’inizio degli anni novanta erano i pifferai magici che dolcemente ti accompagnavano fuori dalla frenesia del rave per riportarti a casa, con i piedi per terra. Ma piano, senza strattoni, e sempre con un grande sorriso stampato sulla faccia.

Little fluffy clouds è tratta dall’album The Orb’s adventures beyond the ultraworld, che risentito oggi è un viaggio psichedelico esattamente come lo era nel 1990.

The Orb
The Orb’s adventures beyond the ultraworld
Island, Universal, 1990

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