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L’Europa risponde unita all’atto di pirateria della Bielorussia

Un’attivista protesta davanti all’ambasciata bielorussa a Varsavia, in Polonia, 24 maggio 2021. (Tomasz Gzell, Epa/Ansa)

Nella scala delle violazioni del diritto internazionale l’atto compiuto dal regime bielorusso si colloca tra le più gravi. Il dirottamento di un aereo di linea, costretto sotto la minaccia di un caccia militare ad atterrare per permettere la cattura di due passeggeri, è stato giustamente descritto come un atto di pirateria commesso da uno stato.

L’Europa è stata palesemente sfidata, e ha dovuto rispondere. D’altronde a essere coinvolto è un aereo di una compagnia irlandese, in viaggio tra due capitali dell’Unione europea. Il giornalista bielorusso arrestato, tra l’altro, era fuggito dalla dittatura trovando riparo in Europa.

La sera del 24 maggio, a Bruxelles, i leader dell’Unione sono riusciti a creare un fronte unito, dopo essersi rivelati incapaci di concordare una dichiarazione comune sulla guerra di Gaza. L’Europa ha approvato una serie di sanzioni contro la Bielorussia, che per la prima volta superano quelle largamente simboliche e tardive, e ancora in discussione, arrivate dopo la repressione delle manifestazioni contro Lukašenko del 2020.

Un contesto brutale e predatorio
Le sanzioni isoleranno ulteriormente il regime bielorusso, che del resto non poteva restare impunito dopo questo atto di pirateria aerea; sarebbe stato un disastro se non ci fosse stata alcuna risposta.

In realtà la vicenda va oltre l’atto in sé. Nell’arco di 24 ore, infatti, la crisi si è trasformata in un test di credibilità per l’Unione europea e in una prova della sua capacità di farsi rispettare in un contesto ridiventato brutale e predatorio.

Evidentemente il dittatore bielorusso Aleksandr Lukašenko, come altri leader autoritari, dalla Turchia alla Cina passando per la Russia, ritiene che l’Europa sia divisa e indebolita, tanto da colpirla e trattarla come se non contasse nulla.
Lukašenko ha creduto di essere intoccabile dopo la sua rielezione frettolosa dello scorso 9 agosto, seguita da imponenti manifestazioni di protesta duramente represse.

All’epoca l’Europa si era indignata e aveva manifestato la propria solidarietà alla candidata dell’opposizione Svetlana Tichanovskaja, ma non aveva fatto nulla che potesse impedire al dittatore di Minsk di restare aggrappato al potere con la forza.

Le misure attuali non sono ancora all’altezza della crisi, ma almeno hanno il merito di mostrare che i 27 possono parlare con una sola voce in un contesto tesissimo. In ogni caso Lukašenko ha il sostegno di Vladimir Putin, da cui diventa sempre più dipendente, e può sperare di sopravvivere agganciandosi alla potenza russa.

Il dittatore non manifesta alcuna intenzione di liberare il giornalista catturato, come chiedono l’Europa e gli Stati Uniti. Un video con la confessione di Roman Protasevič è stato trasmesso la sera del 24 maggio dai mezzi d’informazione ufficiali bielorussi, nella migliore tradizione totalitaria.

L’Europa deve aspettarsi un aumento della tensione sul fronte orientale, con Minsk ma evidentemente anche con Mosca.

Tuttavia se i 27 decidessero di ignorare un atto così grave non farebbero che peggiorare il disordine crescente del mondo. L’Europa non riesce ancora a comportarsi come una potenza, ma scopre qual è il prezzo di non esserlo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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