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Il Libano teme di essere trascinato in una guerra con Israele

Zahajra, nel sud del Libano, 10 ottobre 2023. Una casa colpita durante gli scontri con l’esercito israeliano. (Mohamed Azakir, Reuters/Contrasto)

Ho ricevuto un messaggio da un amico a Beirut, in Libano: “Cominciamo ad avere molta paura”. Paura di un nuovo scontro tra Israele e il suo “altro” nemico, Hezbollah. In questo messaggio notturno traspare soprattutto l’impotenza di un paese che non controlla il suo destino.

La pace o la guerra con Israele non saranno decise dal governo libanese, e nemmeno da Hezbollah. È l’Iran che stabilirà se far esplodere la situazione, cambiando la scala della tragedia in corso.

Anthony Samrani scrive sul quotidiano libanese francofono L’Orient Le Jour: “Nessun giornalista, analista o diplomatico può pretendere di poter dire con certezza se il partito sciita oltrepasserà o meno il Rubicone nelle prossime ore, nei prossimi giorni o nelle prossime settimane. Tutti fanno ipotesi, ma nessuno sa nulla”.

È questa incertezza che mina il morale del paese, ancora segnato dal ricordo della terribile guerra del 2006, con 33 giorni di combattimenti, 1.200 morti tra i libanesi, 150 tra gli israeliani, un milione di profughi in Libano e moltissime infrastrutture distrutte. Diciassette anni dopo Beirut vive una situazione tragica: senza presidente, con un’economia in ginocchio e una popolazione impoverita.

Dopo l’attacco di Hamas nel sud d’Israele, la frontiera libanese è osservata con grande attenzione. Si sono verificati diversi scontri, che hanno fatto vittime da una parte e dall’altra. Ieri un lancio di missili anticarro è stato rivendicato da Hezbollah, che ha parlato di rappresaglia per la morte di tre uomini del movimento a causa di un attacco israeliano. In altri punti della frontiera è la Jihad islamica palestinese ad aver rivendicato il lancio di razzi contro Israele e un’incursione fallita.

Anche se Israele è sul piede di guerra nel nord e i civili sono stati incoraggiati a lasciare le località più esposte, non c’è ancora stato l’incidente che potrebbe scatenare la guerra totale.

A questo punto bisogna capire a che gioco stanno giocando Hezbollah e l’Iran. C’è una strategia per aprire due fronti contro Israele oppure gli scontri nel nord, organizzati per esprimere solidarietà alle operazioni di Hamas nel sud, resteranno entro entro certi limiti, senza arrivare alla guerra aperta?

Negli ultimi mesi i libanesi avevano la sensazione che Hezbollah volesse soprattutto guadagnare spazio nel dibattito nazionale. Il partito aveva dato il via libera a un accordo con Israele sui confini marittimi e aveva perfino presentato un candidato alle presidenziali, cosa che poneva diversi problemi ai libanesi non sciiti.

Ma nelle operazioni dell’Iran nella regione, Hezbollah non ha alcuna autonomia. Il suo esercito, più potente di quello nazionale libanese, è equipaggiato e addestrato dai Guardiani della rivoluzione iraniani e obbedisce alle scelte strategiche di Teheran.

Quale sarebbe l’interesse dell’Iran a scatenare una guerra tra Hezbollah e Israele, soprattutto considerando che uno scontro comporterebbe il rischio, nel drammatico contesto attuale, di un’escalation regionale che non lascerebbe affatto indenne Teheran? L’Iran non ha i mezzi per condurre un’operazione simile, ma la razionalità politica non sempre ha la meglio quando si tratta di evitare una guerra. Per questo motivo il Libano trattiene il respiro, insieme a tutti i suoi amici.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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