Editoriali

Sui migranti un patto amaro

Il 10 aprile il parlamento europeo ha approvato il Patto sull’immigrazione e l’asilo, che sarà la base della politica comune sull’arrivo dei migranti irregolari (più di 286mila nel 2023 secondo le Nazioni Unite). Le norme regoleranno su scala europea tutte le fasi del processo migratorio, dall’arrivo di una persona fino alla decisione di accoglierla o respingerla. Il patto è stato approvato dopo dieci anni di dibattiti e tre di trattative. Il prezzo è un ridimensionamento dell’Europa come luogo di accoglienza, che contrasta con la narrazione umanista portata avanti dall’Unione.

L’accordo non è un passo avanti, ma la scelta del male minore, il meglio che si potesse fare. Secondo i partiti di centrodestra e centrosinistra una mancata intesa avrebbe regalato argomenti forti a un’estrema destra in ascesa a poche settimane dalle elezioni europee di giugno, e rinviare le scelte sulla politica migratoria alla prossima legislatura avrebbe comportato il rischio di affidarsi a una maggioranza più conservatrice. Il punto centrale dell’accordo è un principio automatico di solidarietà nell’accoglienza. Da un lato il meccanismo obbliga tutti gli stati dell’Unione a contribuire, e questo è un passo avanti rispetto alla situazione attuale. Ma dall’altro dà la possibilità di non rispettare la propria quota versando ventimila euro per ogni migrante non accolto, “comprando” cioè un’autorizzazione a negare la solidarietà. Inoltre sono state inasprite le condizioni per ottenere l’asilo, con il rimpatrio immediato per chi non soddisfa i criteri fissati.

Gli eurodeputati si sono arresi al dogma secondo cui regolamentare l’immigrazione vuol dire usare la repressione contro persone disperate. È una sconfitta per chi crede che l’Unione abbia bisogno di immigrati e abbia la responsabilità di accoglierli in modo degno. Il prezzo di aver rinunciato a una posizione chiara, limitandosi a contrastare quella dell’estrema destra, lo pagherà chi scappa dalla miseria e dalla guerra. La nuova politica comune non risolve i problemi all’origine dei fenomeni migratori e non contribuisce a evitare che il mar Mediterraneo continui a essere una fossa comune, in cui nel 2023 sono finite tremila persone.

Davanti a un’Europa fortificata, i migranti cercheranno nuove rotte, più pericolose. Ma non smetteranno di arrivare solo perché un pezzo di carta dice che non possono farlo. ◆ as

Poco tempo per salvare il Sudan

L’impegno preso il 15 aprile alla conferenza internazionale di Parigi sulla situazione umanitaria in Sudan è un segnale importante: per aiutare le persone della regione del Darfur e delle altre zone del paese devastate dalla guerra dovrebbero essere investiti più di due miliardi di dollari. Nel migliore dei casi è un gesto tardivo per cercare di evitare il peggio in Sudan: una carestia che potrebbe colpire milioni di persone.

Ma il messaggio di Parigi sarà una buona notizia per le popolazioni locali solo se le organizzazioni umanitarie potranno usare questi finanziamenti per fare il loro lavoro. Può sembrare banale, ma in uno scenario di guerra come quello del Sudan non lo è. Finché continueranno gli scontri, è improbabile che le Nazioni Unite riusciranno a costruire corridoi sicuri per far arrivare viveri e medicinali ai campi profughi e provvedere alle persone intrappolate dalle violenze che ogni giorno cercano di sopravvivere.

Un’ampia coalizione deve ottenere un cessate il fuoco. Il tempo stringe: gli esperti calcolano che a giugno mezzo milione di sudanesi sarà morto di fame se la situazione non migliorerà sensibilmente. E i soccorritori possono salvare vite umane solo se non sono lasciati soli dalla diplomazia internazionale o usati per coprire la mancanza d’impegno della politica. Il punto decisivo è che i paesi occidentali e quelli arabi devono allearsi se vogliono fare un primo passo verso il cessate il fuoco.

Finché i due generali rivali, Abdel Fattah al Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemetti, potranno contare sulla complicità di singoli stati per le loro imprese militari, la violenza distruggerà questo stato multietnico. E anche la prospettiva di un futuro di pace in Sudan. ◆ nv

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1559 - 19 aprile 2024
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