Al contrario del precedente del 1968 con un inedito Tony Curtis nei panni di un serial killer, il film di Matt Ruskin, ispirato alle stesse vicende, sposa la tesi che i crimini fossero commessi da più assassini, fomentati da una misoginia diffusa. E racconta la storia di due giornaliste il cui ruolo nelle indagini fu quasi dimenticato. Tutto bene, anche se mancano tensione e suspense. Il cast fa la sua parte. Se solo alla regia ci fosse stato Jonathan Demme, o magari David Fincher…
Peter Bradshaw, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati