Il 2 maggio le due parti in conflitto in Sudan hanno accettato di rispettare una tregua dal 4 all’11 maggio e di nominare i loro rappresentanti per dei colloqui sulla situazione umanitaria. Dal 15 aprile, giorno dell’inizio delle ostilità tra l’esercito regolare e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf), sono stati proclamati vari cessate il fuoco, che sono stati solo parzialmente rispettati. Negli ultimi giorni sono stati registrati violenti combattimenti a Geneina, nella regione occidentale del Darfur. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) ha calcolato che più di centomila persone sono scappate dal paese, soprattutto in direzione di Egitto, Ciad e Sud Sudan, mentre gli sfollati interni sono 334mila. Il bilancio delle vittime reso noto dal ministero della salute il 2 maggio è di almeno 550 morti e quasi cinquemila feriti. “Tra tutte le previsioni possibili per il Sudan, la più plausibile è di una guerra prolungata”, scrive il quotidiano sudanese Al Taghyeer. “Sarà difficile evitare che intervengano potenze straniere, scatenando una guerra per procura”. All’interno del paese, stima il giornale, a beneficiare della situazione saranno soprattutto gli esponenti del vecchio regime di Omar al Bashir (il dittatore deposto nell’aprile 2019 dopo grandi manifestazioni di protesta). Molti dirigenti dell’epoca di Al Bashir hanno approfittato del caos di queste settimane per scappare dal carcere di Kober a Khartoum. Tra loro, c’è Ahmed Haroun, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità commessi ai tempi della guerra in Darfur. Haroun ha lanciato un messaggio ai sudanesi, invitandoli a sostenere l’esercito contro le Rsf. Si calcola che siano evasi di prigione anche migliaia di criminali comuni, aggravando la sensazione d’insicurezza a Khartoum, dove i residenti riferiscono di saccheggi e di bande che vagano per le strade. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1510 di Internazionale, a pagina 23. Compra questo numero | Abbonati