L’uomo che pesca occupa un posto centrale nell’opera del poeta e scrittore ungherese Imre Oravecz. Il sottotitolo del libro è Szajla. Frammenti per un romanzo, perché L’uomo che pesca può davvero essere letto come un romanzo, ma ha una struttura più sciolta rispetto a un classico lavoro in prosa. Il tema centrale è Szajla, il villaggio natale dell’autore. Grazie a Oravecz, il piccolo luogo nascosto ai piedi della Mátra settentrionale è diventato uno dei paesaggi mitici della letteratura ungherese contemporanea. Questo è anzitutto un libro di memoria e distruzione. Oravecz pesca nella sua memoria, come fa il protagonista della poesia che dà il titolo, il pescatore di Szajla, dopo che il lago dove lavorava fu prosciugato. Anche la cultura contadina ungherese fu prosciugata e distrutta in modo simile nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale. Il libro evoca figure, luoghi e oggetti. Cataloga tutto ciò che può e costruisce un monumento. Sarebbe complicato descrivere qui di cosa si tratta: parenti e conoscenti morti da tempo, storie di paesani che tentano la fortuna in America e il paesaggio, le colline, le foreste, le acque selvagge che circondano il villaggio. La parola “importante” è usata spesso nelle recensioni dei libri. Forse più del necessario, perché di sicuro i libri importanti non sono poi così numerosi. L’uomo che pesca è un libro davvero importante, oltre a essere un’opera letteraria e poetica di impareggiabile bellezza. È quindi una delle più grandi conquiste della letteratura ungherese contemporanea, un degno ricordo di un mondo ormai sommerso.
Ákos Győrffy, Mandiner

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Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati