Ottessa Moshfegh (Roberto Ricciuti, Getty)

Quando ero in marina ho conosciuto molti marinai ubriaconi: bevevano per la gioia di ubriacarsi, bevevano con la disperazione dei personaggi di Faulkner e bevevano per evadere dalla disciplina inflessibile che tocca a chi è così stupido da pensare di poter fare fortuna andando per mare. Ma non ho mai conosciuto nessuno che bevesse come McGlue, il protagonista della strana e affascinante novella di esordio di Ottessa Moshfegh. McGlue è un marinaio dell’ottocento, un lupo di mare di dubbia capacità, che vuole una cosa soltanto: la bottiglia. La ricerca dello stordimento di McGlue è così totalizzante che preferisce il bere alla compagnia delle donne. L’amore del protagonista per l’alcol l’ha messo nei guai. Quando è sulla terraferma, a Zanzibar, lo accusano di aver ucciso un suo compagno di equipaggio, di nome Johnson, che come lui era di Salem, nel Massachusetts. Erano una strana coppia di amici – e forse più che amici – prima di andare insieme per mare, e a causa del loro strano rapporto e della ricchezza della famiglia di Johnson, McGlue viene rinchiuso sottocoperta e rispedito in America. Nel buio della sua prigionia cerca di ricostruire cosa sia successo in quella terribile notte. Quando la nave raggiunge Salem McGlue finisce in prigione e il suo legale gli consiglia di confessare tutto. A complicare le cose c’è una vecchia frattura al cranio che torna a fargli male. Se l’era procurata lanciandosi da un treno in corsa. L’avvocato insiste perché cerchi di ricordare tutto ciò che è successo nella notte in cui il compagno è morto e i suoi ricordi si accavallano. A volte McGlue dimentica che Johnson è morto. A volte Johnson lo visita nella sua cella. L’intera trama si concentra nel verso di una vecchia canzone marinaresca: che ne facciamo di questo marinaio ubriaco? McGlue era un ubriacone senza cuore o beveva a causa di quella brutta ferita alla testa? Con una prosa che rispecchia i ricordi confusi del protagonista, Moshfegh apre una finestra su un mondo che non esiste più con sorprendente immediatezza. Le sue frasi poderose e l’uso peculiare della sintassi animano le confessioni del marinaio e dissolvono la distanza tra noi e i tempi in cui navigavano uomini come Herman Melville o lo stesso McGlue. Jim Ruland, Los Angeles Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati