Negli anni ottanta il gruppo rock dei Van Halen inseriva una lunga lista di condizioni nei suoi contratti per i concerti: una serie infinita di minuzie sull’allestimento e le luci sul palco, dettagli tecnici di ogni genere e diverse richieste sul cibo. La cosa di gran lunga più folle era una voce in cui si chiedeva “una ciotola di confetti M&M’s da cui siano stati tolti tutti quelli marroni”. Una mossa da rock star assoluta, che sembrava dire: “Abbiamo un ego enorme e fareste meglio a ricordarvelo”.

Si possono trovare versioni di questa storia che risalgono al maggio 1980, dopo un concerto della band a Milwaukee. “Per soddisfare il gusto delle star”, si leggeva in un articolo del Racine Journal Times, “il direttore di scena ha dovuto eliminare da sei sacchetti di confetti tutti quelli marroni”.

Pierluigi Longo

Nei mesi successivi uscirono altri articoli sulla clausola degli M&M’s e l’argomento diventò un modo per lamentarsi degli eccessi della musica rock, delle star e dei giovani. Secondo una voce che circolava all’epoca, i Van Halen avevano sfasciato una camera d’albergo perché avevano trovato un confetto del colore vietato.

La storia ha molti aspetti non verificati, ma la clausola esisteva sul serio.

Alla fine degli anni novanta, però, emersero altri elementi. Nel 1997 David Lee Roth, in quel periodo voce solista del gruppo, pubblicò un’autobiografia in cui sosteneva che in realtà la ciotola di confetti selezionati era un modo veloce per verificare se chi gestiva il concerto aveva letto con attenzione tutto il contratto.

“I Van Halen sono stati il primo gruppo rock ad avere bisogno di molti collaboratori esterni per le loro produzioni. Ci spostavamo con nove autoarticolati pieni di attrezzature in un periodo in cui normalmente se ne usavano al massimo tre. E si rischiavano sempre molti errori tecnici, per esempio travi maestre che non riuscivano a sostenere il peso delle attrezzature, palchi che crollavano o porte troppo piccole per far passare tutto. Così il contratto era pieno di dettagli sul voltaggio delle prese di corrente e l’altezza da terra a cui dovevano essere installate. Poi, di punto in bianco, spuntava l’articolo 126 che diceva: ‘Non dovranno esserci M&M’s marroni nel backstage, pena l’annullamento dello spettacolo con rimborso totale’. Quindi se vedevo degli M&M’s marroni in quella ciotola ricontrollavo tutta la produzione. Se non avevano letto bene il contratto, di sicuro sarebbe spuntato qualche problema. In alcuni casi erano cose che potevano mandare all’aria l’intero concerto o mettere in pericolo le persone che ci lavoravano. Bel trucco, eh? Non c’è da stupirsi se c’incazzavamo così tanto per dei confetti al cioccolato!”.

Da allora per chi è nel settore il test degli M&M’s ha un significato diverso: non più segno di arroganza, ma di astuzia e lucidità. La storia ha un fascino che colpisce subito, così l’espressione “togliete gli M&M’s marroni” è diventata l’esempio più famoso di quello che le pop star mettono nei loro contratti.

Quando ho cominciato a scrivere questo articolo volevo occuparmi delle clausole relative al cibo nei contratti per i concerti, partendo proprio dai Van Halen. Però più approfondivo la storia degli M&M’s marroni più aumentavano le domande sulla spiegazione che ne aveva dato David Lee Roth.

È venuto fuori che, a giudicare dalle loro richieste, band come il supergruppo Crosby, Stills, Nash and Young erano formate da stronzi fuori controllo. “Neil Young vuole sempre vino Baby Duck, fresco al punto giusto in un secchiello”, borbottavano i promotori, e la band pretendeva di viaggiare dall’aeroporto a bordo di due limousine diverse.

Nel giro di due anni storie di questo genere diventarono una tendenza piccola ma in crescita nel campo del giornalismo musicale. Nel 1975 il Tampa Tribune ne parlò in un lungo articolo (birra Heineken e Bud­weiser e buffet di cibo cinese o italiano per gli Eagles; birra Budweiser e Michelob e frutta assortita per Alice Cooper). Nel 1976 se ne occuparono l’Associated Press (burro di arachidi per gli Aerosmith; Gatorade al lime e pasti vegetariani caldi per Peter Frampton) e il Pantagraph di Bloomington, in Illinois, con un’analisi a tutta pagina delle clausole dei contratti di Joni Mitchell (due limousine, due bottiglie di vino Blue Nun, Seven-Up, Coca-Cola, formaggio e tramezzini, antipasti caldi).

Non è difficile capire come mai in quel periodo aumentò l’attenzione a quei particolari dei contratti: la musica pop stava esplodendo, con folle di fan e vendite record, in un periodo in cui i baby boomer diventavano adulti e la loro influenza culturale cresceva di pari passo ai loro soldi. L’era della musica rock negli stadi era cominciata nel 1965, con i Beatles allo Shea stadium di New York, e alla fine degli anni settanta un numero crescente di gruppi rock erano impegnati in lunghi tour e si esibivano in strutture importanti. Quando nel 1977 gli Aerosmith raccolsero più di cinquemila spettatori nell’Iowa, gli organizzatori parlarono di una tendenza nazionale verso concerti in grado di attirare grandi folle. La crescita del pubblico si accompagnava all’aumento della diffusione del giornalismo musicale, dell’interesse per la musica pop e dei fan ossessivi.

Il gruppo rock dei Van Halen aveva una lunga lista di richieste per i concerti. In una si chiedeva “una ciotola di confetti M&M’s da cui sono stati tolti tutti quelli marroni”

Come osservava la scrittrice Ellie Field in un recente post scritto per i National museums di Liver­pool, c’è una linea diretta che collega la Beatlemania al Bts army (la schiera di appassionati del popolarissimo gruppo coreano) e agli altri enormi gruppi di fan fedeli a un determinato artista. Ultimamente si è scritto molto sulle relazioni che a volte le persone immaginano di avere con le celebrità (in breve, è la sensazione di conoscere davvero una star basandosi solo sulle cose che si sono lette su di lei), un fenomeno che si è amplificato nell’epoca dei social network. Se volete conoscere quali sono i piatti preferiti di Harry Styles, di Lizzo o dei componenti degli OneRepublic basta chiedere al vostro telefono e lui ve lo dirà subito.

Questa dinamica esisteva anche nel mondo della musica pop degli anni sessanta e settanta. C’erano riviste sui Beatles e si parlava di loro in qualsiasi mezzo d’informazione. In un esteso profilo sulla band uscito nel 1964, la rivista Life osservava che da quando i quattro di Liverpool avevano menzionato il loro apprezzamento per le gelatine a forma di pupazzetto, i fan avevano cominciato a lanciarle sul palco durante i concerti. “Hai mai provato a camminare sulle gelatine?”, chiedeva Paul McCartney al giornalista. “Sono tra le sostanze più appiccicose al mondo. A volte i ragazzi pensano che io stia provando nuovi passi di danza, ma in realtà sto solo cercando di staccare i piedi dal pavimento”.

Se v’interessano i dettagli personali della vita di una rock star, le clausole contrattuali sono una miniera d’oro. A volte si può pensare che un comunicato stampa o un’autobiografia siano stati scritti con l’obiettivo di trasmettere una certa immagine di un artista, ma le clausole di un contratto sono più concrete e più personali, perché contengono una serie di dettagli che in realtà non dovevano diventare pubblici. Si ha la sensazione che in quel noioso documento legale ci sia la verità.

Alcune band detestano che i loro contratti vengano resi noti. Nel 2015 Jack White è andato su tutte le furie quando lo ha fatto un giornale studentesco dell’università dell’Oklahoma. Raccontava il sito The Current nell’aprile 2015: “Questo inverno degli studenti che scrivono sull’Oklahoma Daily non immaginavano di avere per le mani una storia che i mezzi d’informazione di tutto il mondo avrebbero trovato assolutamente appetitosa”. Nello specifico, la storia riguardava la ricetta precisa del guacamole (‘devono sentirsi bene i pezzetti’) che Jack White e i suoi musicisti avevano chiesto di trovare nel backstage di un concerto che si era tenuto a febbraio nel campus.

Durante il concerto White ha commentato con astio la decisione presa dal giornale studentesco di pubblicare i dettagli di questa clausola, dicendo: “Il fatto che possiate scriverlo non vuol dire che sia giusto farlo” (il contratto era a disposizione del giornale in base alla legge dello stato, poiché l’università è un ente pubblico).

Altri accettano il fatto che queste clausole non siano più riservate, soprattutto nell’epoca di internet. I Foo Fighters sanno che i loro contratti andranno a finire online, perciò si divertono con i documenti includendo richieste che corrispondono ironicamente allo stereotipo delle rock star viziate.

Sembra tuttavia evidente che negli anni settanta, all’epoca delle prime attenzioni da parte dei giornali, i musicisti non volevano inviare nessun messaggio al pubblico. All’epoca i contratti dovevano restare privati.

E questo ci riporta ai Van Halen.

Il gruppo si formò nel 1973 e nel 1978 pubblicò il suo album di esordio, riscuotendo un grande successo. Come osservato da David Lee Roth, in quegli anni nel settore musicale c’era spesso una grande distanza tra la tecnologia che le band si aspettavano di trovare e quella che le strutture erano in grado di offrire. Per esempio ho trovato un articolo del 1977 sui Boston, costretti a cancellare un concerto al Miami-Dade community college perché il palco era alto solo settanta centimetri e i collegamenti elettrici non rispondevano alle loro esigenze.

È anche evidente che per i musicisti non era insolito includere voci stravaganti per verificare l’attenzione ai dettagli.

Capite qual è la cosa interessante? I Kansas non avevano davvero bisogno di coni gelato con doppia pallina alla frutta, come richiesto nel contratto. Gli organizzatori dovevano limitarsi a parlarne con loro. Ci si aspettava che la richiesta fosse vista, non necessariamente soddisfatta. Era evidente che chi preparava un concerto chiedesse di continuo agli artisti di modificare alcune clausole. Erano contratti standard molto lunghi e non tutto sarebbe stato possibile per ogni concerto.

È qui che cominciano a formarsi le prime crepe nella spiegazione sul test degli M&M’s fornita da David Lee Roth. Se l’eliminazione di quelle marroni fosse stato davvero un meccanismo di verifica, di sicuro i Van Halen avrebbero accettato di avere una ciotola di confetti non selezionati, se qualcuno gliel’avesse chiesto. Invece, secondo quanto dicevano gli stessi componenti del gruppo negli anni ottanta, si aspettavano sul serio di avere una ciotola di M&M’s senza quelli marroni.

Oltretutto, una volta che si era sparsa la voce, gli M&M’s non funzionavano più come test. Negli anni ottanta anche chi non era un fan dei Van Halen sapeva la storia. La conoscevano anche gli organizzatori, non ci davano troppa importanza e rilasciavano interviste per vantarsi degli sforzi compiuti per eliminare tutti i confetti indesiderati. Era una battuta ricorrente.

Al limite gli M&M’s marroni erano una scorciatoia grazie alla quale una struttura poteva far credere ai Van Halen di aver letto il contratto con attenzione, anche se in realtà non era così, ribaltando il racconto della “band intelligente che fa fessi gli organizzatori dei concerti” proposto nell’autobiografia di Roth.

C’è un altro punto che smentisce quel che dice il cantante. Come osservava lo scrittore Chris Dale in un articolo del 2020 sul sito Metal Talk, il contratto dei Van Halen era lungo 53 pagine e in qualsiasi struttura per concerti ci sono molti addetti che svolgono compiti diversi: è improbabile che le persone che lavorano alla ristorazione siano le stesse che si occupano degli aspetti tecnici e leggano le stesse pagine del contratto. “Perfino nei locali più piccoli, c’è chi si occupa dell’impianto elettrico e chi prepara i panini per la band”, scrive Dale. “La precisione sugli spuntini quindi non era una garanzia per l’allestimento o la sicurezza del palco”.

L’unica conclusione che mi sento di trarre è che il test degli M&M’s è quasi sicuramente quello che sembrava fin dall’inizio: un modo per alcuni tra i più grandi ego della musica rock di chiarire fino a che punto potevano essere esigenti, sfacciati e insopportabili. Negli anni ottanta si diceva che la richiesta dei Van Halen fosse un tentativo di emulare i Kiss, che a quanto pare avevano vietato gli M&M’s rossi dopo che nel 1976 si era diffusa la paura per un colorante rosso tossico (fatto vero). Secondo un’altra versione, il motivo era che una volta i Van Halen avevano fatto un concerto particolarmente ben riuscito dopo aver mangiato M&M’s tra le quali per puro caso non ce n’era nessuna marrone. Sembrano storie plausibili, così come è plausibile che i quattro musicisti volessero soltanto dare l’impressione di essere degli stronzi: siamo delle star, quindi fate come vi diciamo senza discutere.

Qualunque sia la verità, quando questa storia si è diffusa i Van Halen accettarono il messaggio che incarnava: per tutti gli anni ottanta i giornalisti gli chiedevano degli M&M’s e tutte le volte la risposta era una maliziosa ammissione: sì, li chiediamo, non siamo pazzeschi?

Il test degli M&M’s corrispondeva all’immagine del gruppo come i cattivi ragazzi dell’hard rock, un profilo a cui i quattro dedicavano molti sforzi. In una foto pubblicata su un quotidiano nel 1978 si mostrano mentre bevono roba forte e guardano insieme una rivista porno, con una pistola appoggiata su un tavolo. Quell’atmosfera era fondamentale per il loro marchio e la loro capacità di vendere dischi e attirare il pubblico. Il colore delle M&M’s e le ondate di attenzione che generavano erano tentativi mirati di trasmettere un senso di scandalo ed egocentrismo.

In termini d’innovazione bisogna riconoscere che i Van Halen sono stati probabilmente la prima band a capire che le clausole contrattuali potevano diventare una forma di pubblicità, un modo per ostentare il messaggio e l’atteggiamento facendolo apparire autentico. Insistere per togliere gli M&M’s marroni fu molto furbo, ma le preoccupazioni sulla sicurezza non c’entravano niente. Era pubblicità, pura e semplice pubblicità. ◆ gim

Doug Mack è un giornalista statunitense. Cura la newsletter Snack Stack, che si occupa della storia culturale dei dolci e degli stuzzichini. Questo articolo è uscito su Snack Stack con il titolo.

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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati