Una città, anzi due in una. Di solito chi abita nella parte settentrionale, a meno che non abbia una specifica necessità, non attraversa il ponte sul fiume Ibar, che divide in due Mitrovica (in serbo Kosovska Mitrovica): a nord l’enclave serba, a sud la parte albanese. Entrambe ostaggio delle scelte politiche di Serbia e Kosovo, le due anime della città sono separate e diverse, ma condividono lo stesso sogno di pace.

Un abitante della parte settentrionale osserva il fiume, che segna il confine del suo “ghetto”, bevendo caffè e acquavite di prugne. È nel suo “quartiere”, e ha l’aria di chi guarda un film aspettando di vedere come va a finire. Il ponte, quasi una frontiera mitica tra persone e mondi, si staglia sullo sfondo del conflitto degli anni novanta tra i serbi e gli albanesi del Kosovo. Ormai è da tempo che non ci sono più attacchi violenti tra le due comunità, anche grazie alla presenza dei carabinieri italiani, che dal 2012 presidiano il ponte nell’ambito della missone Eulex, gestita dall’Unione europea. Intorno a loro, a distanza di sicurezza, si aggirano sempre due o tre cani randagi. Forse seguono i carabinieri per rimediare un po’ di cibo.

Un uomo – non sappiamo se del nord o del sud della città – dà da mangiare ai piccioni dal parapetto del ponte. Osservo la mano che sbriciola il pane, volti di persone semplici e una moltitudine di ali che sbattono sulla superficie dell’acqua. Mi sposto tra queste linee geografiche. Al tramonte il fiume Ibar offre uno spettacolo bluastro e invita a camminare. La presenza dei soldati (in tutto il Kosovo è schierata la forza di pace internazionale della Kfor sotto la guida della Nato) fa sembrare Mitrovica la Belfast dei Balcani. In effetti il paragone ha un suo fondamento: il nord ha memoria di omicidi politici (come quello del locale leader serbo Oliver Ivanović, nel 2018) oltre che di storie d’illegalità e contrabbando, di persone, armi e droga. Anche le proteste del 2023 nei comuni a maggioranza serba del nord del paese e gli scontri tra i miliziani serbi e la polizia kosovara a settembre, che hanno portato alla morte di quattro persone nel villaggio di Banjska, testimoniano la somiglianza con l’Irlanda del Nord. Ma soprattutto confermano che questa è ancora una zona difficile, in cui il rischio di nuovi conflitti è all’ordine del giorno.

Supermercati e politica

È notte a Mitrovica nord. La musica rimbomba da una discoteca al primo piano di un edificio. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, più forte è il rumore più aumenta l’impressione che la città sia irrimediabilmente triste. Forse è solo il primo dei tanti contrasti che caratterizano la parte settentrionale del Kosovo. Gente che va di fretta, con la testa infilata nel cappotto.

Incontro Milica, una giovane attivista di un’ong ed ex giornalista, e ci mettiamo a chiacchierare davanti a un bicchiere di acquavite di mela cotogna in un tranquillo locale del centro che prepara piatti locali. Milica è piena di vita e allo stesso tempo emana una tristezza molto privata – ammesso che sia questo l’aggettivo giusto – di cui, con l’estrema circospezione di chi apre uno scrigno del tesoro, mi rende subito partecipe. Mi dice che sta seriamente pensando di continuare la sua vita in un altro paese. Non mi sento di suggerirle nulla né di darle lezioni di vita. Racconta che molti giovani hanno già lasciato il nord del Kosovo, spesso per sempre, e che molti altri se ne andranno, non solo giovani. Tutto a causa delle scellerate scelte politiche di Pristina e Belgrado.

Il fatto che i kosovari non abbiano più bisogno del visto per entrare nei paesi della zona Schengen contribuirà sicuramente a un’ulteriore ondata di emigrazione. Nella parte nord di Mitrovica abitano circa ventimila persone.

La statua del principe serbo Lazar Hrebeljanović a Mitrovica, 1 febbraio 2024 (Valdrin Xhemaj, Reuters/Contrasto)

A un certo punto Milica sottolinea, non senza un po’ di umorismo, come sia un “privilegio” poter aprire la finestra della propria stanza diventata troppo calda perché il riscaldamento funziona a tutta forza, senza doversi preoccupare di quanto si spende. Grazie a una situazione non regolamentata, infatti, dal 1999 gli abitanti dei quattro comuni serbi del nord del Kosovo non pagano né la bolletta dell’elettricità né quella dell’acqua. Come scoprirò in seguito, nel 2022 Pristina ha speso 63,2 milioni di euro del bilancio statale per pagare l’elettricità alla comunità serba. Tuttavia la situazione dovrebbe a breve essere normalizzata, grazie a un accordo tra la società energetica kosovara Keds e la compagnia Elektroserver, che dovrà distribuire l’elettricità nei comuni serbi e farsi pagare le bollette.

“Sapevi che nelle nostre farmacie si possono comprare ansiolitici e altri psicofarmaci senza ricetta?”, mi chiede a un certo punto Milica. Vado a verificare di persona. E scopro che è vero. Tuttavia la confezione che ho acquistato, pagandola non più di due o tre euro, è già scaduta da due mesi. Farmaci venduti come gomme da masticare. “Sa, di recente abbiamo ricevuto una nuova partita”, spiega la farmacista, frugando nella scatola appena arrivata. “Sembra che siano tutti oltre la data di scadenza. In effetti c’è sempre più richiesta”, mi dice con lo sguardo fisso sui farmaci, quasi a giustificarsi.

Al mattino gli edifici di Mitrovica nord rivelano l’intera gamma di pensieri dei suoi abitanti. O almeno, di alcuni gruppi e individui: i graffiti sui palazzi, sui muri e altrove sono il colore della città, decorazioni festive buone per tutto l’anno. Anche le scritte di contenuto politico, in alfabeto cirillico, sono molto chiare: “Il Kosovo è Serbia, la Crimea è Russia”, “Da qui non si torna indietro”, “Vaffanculo Nato, qui siamo in Serbia”, “Vale la pena morire per questo paese”, “Non preoccupatevi, stiamo aspettando”. Sono tutte firmate dalla Brigata nord, che è stata dichiarata organizzazione terroristica dal primo ministro kosovaro Albin Kurti. Il governo la ritiene coinvolta nell’attacco armato dello scorso settembre al villaggio di Banjska, nel comune di Zvečan.

La domenica i negozi sono aperti solo nella parte settentrionale della città. Attraversando il ponte orientale sull’Ibar (non quello principale di cui abbiamo già detto) molti albanesi vengono a fare la spesa da queste parti. Il supermercato è pieno di gente e, anche se i prezzi non sono bassi, le persone – tra cui molte famiglie al completo – comprano di tutto, per lo più in silenzio. Mi viene in mente una cosa che ho sentito dire qualche giorno prima: cioè che per il processo di riconciliazione tra serbi e kosovari sono stati più importanti i supermercati che la politica, perché nel commercio le due comunità trovano interessi comuni. Ma a causa del divieto d’importazione di merci serbe (imposto nel giugno 2023 dal governo del Kosovo), la scelta di prodotti non è così ampia, come scoprirò anche visitando altri negozi nella parte albanese di Mitrovica. Perfino gli imprenditori del centro città hanno protestato contro il blocco, firmando una petizione in cui chiedono alle autorità kosovare di ripristinare le importazioni dalla Serbia.

Ma se alcuni prodotti riescono ancora a raggiungere il nord del Kosovo attraverso canali paralleli, o triangolazioni con altri paesi, i giornali e i libri non arrivano ancora. “A nessuno mancano i libri. Tanto i giovani si sono digitalizzati e si può leggere tutto sul cellulare o sul tablet”, mi dice sorridendo il proprietario di una libreria che ormai vende solo cianfrusaglie di ogni tipo.

Davanti a due edicole cittadine cerco invano di avviare una conversazione più specifica sul problema della mancanza di giornali, prima con un operaio e poi con un giornalaio più anziano. Solo al terzo tentativo riesco nel mio intento: sul bancone dell’edicolante che ha deciso di rispondermi sono esposti quasi esclusivamente cruciverba. La donna mi osserva con uno sguardo stanco, riflette sulla mia domanda e, quando si accorge che non sono del posto, sente il bisogno di confidarsi: “Se ti opponi, vieni arrestato, chiunque tu sia. Ci rimane solo il vecchio ospedale (che è sotto la giurisdizione delle autorità serbe di Belgrado), tutto il resto è stato cancellato. La stampa esiste ovunque nel mondo, ma non nel nostro paese. La gente non fa domande, è depressa”.

Un veicolo di pattuglia della polizia passa accanto all’edicola. Si sente il suono intermittente della sirena. Poi s’interrompe e un minuto dopo si ripete. “Perché lo fanno?”, chiedo alla giornalaia. “Per infastidire la gente, ecco perché. Vanno su e giù tutto il giorno con la macchina”, dice, seguendo con lo sguardo la traiettoria del veicolo, che ha appena svoltato per proseguire nella direzione opposta. Annuisco per farle capire che l’ho sentita, e lei aggiunge subito: “Se vuole dei cruciverba, faccia pure. E posso darle anche Jedinstvo gratuitamente”, aggiunge.

Jedinstvo (“Unità”, un nome che rimanda allo slogan della Jugoslavia socialista, bratstvo i jedinstvo, “fratellanza e unità”) è pubblicato dalla casa editrice serba Panorama, che ha sedi a Belgrado e Mitrovica. È un settimanale di 16 pagine. Nel numero dell’11 dicembre 2023 il presidente serbo Aleksandar Vučić afferma: “Non riconoscerò mai il Kosovo”. Ci sono anche articoli su questioni legate al nord del Kosovo e reportage da altri luoghi dove vivono comunità serbe. Tuttavia, sotto un cruciverba fanno capolino un vecchio numero del settimanale serbo progressista Vreme, una copia del conservatore Nin, e forse qualcos’altro che però non sembra molto interessante. “Dove ha preso questi giornali?”, chiedo all’edicolante.

Un abitante della parte nord osserva il fiume, bevendo caffè e acquavite di prugne

“Qualcuno li ha portati da un viaggio in Serbia e me li ha dati per l’edicola. Li vendiamo a cento dinari in meno del prezzo di copertina, che è di 350 dinari (tre euro)”, spiega.

Nel frattempo il nord del Kosovo sembra essersi risvegliato politicamente. Poco prima delle elezioni legislative del dicembre 2023 in Serbia – giudicate truccate da studenti e opposizione, che hanno manifestato nelle piazze – nel nord di Mitrovica sono stati registrati due nuovi partiti: il Movimento popolare serbo e Iniziativa per la democrazia serba, entrambi alternativi a Lista serba, finora l’unica opzione politica per le comunità serbe del Kosovo. A quanto ho sentito, Lista serba non ha più la fiducia degli elettori. In passato è stata spesso manovrata e strumentalizzata dalle autorità di Belgrado, senza contare le altre vicende oscure in cui è coinvolta: fino ai fatti di Baniska dello scorso settembre, il suo vicepresidente era Milan Radoičić, poi risultato l’organizzatore dell’assalto.

Di recente il direttore di Radio Goraždevac, un’emittente serba attiva nella regione di Peć (Peja), ha pubblicamente accusato il Partito progressista serbo, la formazione del presidente Vucic, e la Lista serba di aver umiliato i serbi del Kosovo e di aver tradito le loro speranze e aspettative.

“Tutti dicono che Mitrovica è un problema. Ok, un tempo lo era. Ora la situazione è molto più rilassata, molto diversa rispetto al passato”, mi racconta Miodrag Milićević, originario di Pristina e direttore di Aktiv, un’ong che si occupa della tutela dei diritti della comunità serba in Kosovo, ed è impegnata per favorire il dialogo interetnico, la convivenza e la riconciliazione. Gli chiedo se ci sono relazioni o amori “proibiti” tra i giovani delle due comunità. “Dio non voglia”, risponde Milićević. “Ma in passato ce ne sono stati. So, per esempio, di un matrimonio di qualche anno fa tra una donna serba e un uomo albanese. Oggi vivono insieme a Pristina”.

Tutto alle spalle

Ma veniamo alla vita culturale della città. Nella parte nord non c’è un cinema né un teatro: l’unico che c’era è stato trasferito a Gračanica, un’altra area serba nella regione di Pristina. I giovani non hanno accesso a luoghi d’incontro, con l’eccezione di un unico centro culturale privato, sostenuto da Belgrado, che occasionalmente organizza concerti, dibattiti o mostre.

Per quanto riguarda il divieto d’importazione di merci dalla Serbia, Milićević mi spiega che è frutto di una decisione decisamente poco trasparente presa nel giugno 2023, in risposta all’arresto di tre agenti della polizia kosovara “nel lato serbo della città”, come hanno puntualizzato le autorità. Aktiv ha richiesto la documentazione relativa al provvedimento, che però, a quanto pare, non esiste. Sembrerebbe infatti che si sia trattato di un semplice ordine impartito a voce da un membro del governo del Kosovo e poi concordato con la polizia di frontiera e le dogane. La decisione viene giustificata sostenendo che il governo del Kosovo non può determinare la sicurezza di determinati articoli e prodotti fabbricati in Serbia ma destinati al Kosovo. Dopo un primo momento, il governo di Pristina ha fatto parzialmente marcia indietro, consentendo l’arrivo di alcune materie prime, tra cui quelle necessarie per l’edilizia, dato che il paese aveva esaurito i materiali da costruzione.

“Siamo una società profondamente divisa in base all’appartenenza etnica. E viviamo in due realtà diverse, una a nord e l’altra a sud dell’Ibar”, riassume Milićević.

In questa situazione in Kosovo è passata l’idea che, finché il paese non sarà riconosciuto ufficialmente da Belgrado, qualsiasi accordo con la Serbia è da considerare dannoso per gli abitanti di etnia albanese. Da parte sua, la Serbia considera ogni minima intesa con gli albanesi un tradimento. Secondo Milićević la comunità internazionale ha perso diverse occasioni per creare ponti tra le due popolazioni. Avrebbe dovuto insistere sulle questioni di minor impatto politico, cioè quelle che riguardano l’economia, il progresso tecnologico, gli investimenti, i posti di lavoro, la qualità della vita: solo in questo modo è possibile creare un clima di reciproca comprensione, favorendo la riconcliazione e il rispetto.

A frenare ogni possibile sviluppo è soprattutto la retorica incendiaria del dibattito pubblico e degli scambi sui social network. La società è talmente avvelenata dall’odio che ci vorranno generazioni prima di potersi lasciare definitivamente tutto alle spalle. Secondo Milićević la colpa è principalmente dei leader politici che, con le loro dichiarazioni irresponsabili, “avvelenano deliberatamente il confronto. Da entrambe le parti”.

“In uno dei dibattiti organizzati da Aktiv”, continua, “abbiamo ospitato un gruppo di albanesi di Prizren, Belgrado e Mitrovica. Non sospettavano che anche i serbi del nord del Kosovo potessero avere problemi simili ai loro. Erano convinti che i problemi li creassero e basta. Molto dipende da quali canali d’informazione si usano e dal fatto che giornali e tv non fanno mai vedere le due facce della medaglia”.

“Qual è il problema principale nella comunicazione tra le giovani generazioni di serbi e albanesi?”, gli chiedo.

“Il primo è la barriera linguistica”, mi dice Milićević. “L’inglese fa da lingua franca. I giovani possono avere interessi comuni, la cultura, la musica, ma non hanno alcun contatto fisico. Il sistema educativo è diviso, come la città”. L’arrivo al governo di Albin Kurti, prosegue, ha anche significato l’adozione di un nuovo modello per la soluzione dei problemi, che fa ricorso a mezzi polizieschi e repressivi anziché al dialogo.

Milićević ha chiesto a persone del governo di Kurti come sia possibile che nel ventunesimo secolo, dopo più di due decenni di contrasti, oggi si senta parlare di un nuovo conflitto invece che di pace e progresso. “Il motivo è che il nord del paese oppone un’evidente resistenza non solo all’integrazione nelle istituzioni kosovare, ma anche al governo di Pristina. In una situazione del genere, però dovrebbe essere il primo ministro a chiedersi cosa c’è che non va e a cercare una soluzione. La maggioranza è in gran parte responsabile della posizione della minoranza”, è la sua ragionevole conclusione.

“Come comunità serba in Kosovo siamo completamente annichiliti, oggi si può parlare solo di quello che resta dei serbi del Kosovo”, dice Milićević. “Fatta eccezione per la parte nord di Mitrovica, nel resto del paese la presenza dei serbi è nulla o al più simbolica”.

La mattina dopo di buon’ora mi inoltro nelle “stanze segrete” e negli angoli di Mitrovica. Mi intrufolo ovunque come quei cani randagi che ho incontrato per strada all’inizio del mio viaggio. Vedo i loro rifugi e i vecchi vestiti accatastati per terra su cui dormono.

Il Kosovo è una repubblica di cani abbandonati. Che però spesso sono in lotta l’uno contro l’altro, si mordono, piangono fino a che qualcuno si arrende. Tra questi cani ce n’è uno che saltella sulle sue tre zampe, con il corpo che sembra essere stato tagliato a metà. Un pomeriggio di pioggia aveva cercato riparo davanti all’ingresso dell’hotel in cui alloggiavamo. In un edificio di architettura socialista, su un portone sporco e lasciato all’incuria, trovo finalmente l’unica traccia d’amore in questa parte di Mitrovica. Sul muro si legge chiaramente: “Make love not war, Kosovo i Metohija 2023”. ◆ ab

Novosti è il settimanale della comunità serba in Croazia. Ha posizioni democratiche e indipendenti da Belgrado.

Da sapere
Tensioni sui sindaci

◆ Provincia autonoma della Serbia ai tempi della Jugoslavia socialista, il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza nel 2008. Dieci anni prima, dal febbraio 1998 al giugno 1999, il paese era stato teatro di un violento conflitto per separarsi dalla Serbia, l’ultimo nel quadro più ampio delle guerre jugoslave degli anni novanta. Il Kosovo è abitato in maggioranza da persone di etnia e lingua albanese (il 93 per cento della popolazione), ma ha anche una consistente minoranza serba (6-7 per cento). La Serbia non ha mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, e tra Belgrado e Pristina i rapporti sono ancora molto tesi.
◆ Il 21 aprile 2024 gli abitanti dei quattro comuni a maggioranza serba del paese (Zubin Potok, Mitrovica Nord, Leposavić, Zvečan) hanno boicottato un referendum sulla revoca dell’incarico ai sindaci, tutti di etnia albanese, eletti un anno prima. Anche quella votazione era stata disertata dai serbi, che chiedevano maggiore autonomia per le loro comunità. I quattro sindaci erano stati quindi votati solo dai cittadini albanesi, appena il 3,5 per cento degli aventi diritto, e le autorità di Pristina gli avevano comunque consentito di insediarsi. La vicenda aveva provocato le proteste della comunità serba e gravi tensioni, sfociate il 24 settembre 2023 nell’assalto di Banjska, nel comune di Zvečan, organizzato da un gruppo paramilitare serbo e costato la vita a quattro persone, tre attentatori e un poliziotto kosovaro.
◆Il 5 aprile è cominciato il censimento della popolazione del Kosovo, che si concluderà il 17 maggio. È il primo dal 2011. Allora risultò che la popolazione ammontava a 1,81 milioni, e le operazioni di conteggio furono boicottate dalla minoranza serba. Anche stavolta il principale partito della comunità, la Lista serba, ha incitato al boicottaggio. Balkan Insight


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati