Dall’inizio della crisi umanitaria al confine tra Polonia e Bielorussia nell’estate del 2021 fino al 26 dicembre 2022, le guardie di frontiera polacche hanno respinto 50.668 persone. Sul lato polacco del confine sono stati ritrovati finora i corpi di 37 vittime, nove dei quali dall’inizio del 2023.

Il 7 gennaio è stato individuato quello di Ibrahem Jaber Ahmed Dehya, proveniente dallo Yemen. Aveva 36 anni, era sposato, aveva tre figli e faceva il medico. Suo fratello ha partecipato al funerale che si è svolto il 9 febbraio a Bohoniki, in Polonia. Il 12 gennaio i soldati si sono imbattuti in altri tre corpi. Il giorno dopo è stato ritrovato il cadavere di un uomo etiope.

La prima vittima di febbraio, una giovane donna etiope, avrebbe potuto essere ancora viva. È morta dopo giorni di agonia vicino alla strada per la città di Hajnówka. Le autorità polacche hanno saputo di lei dai suoi compagni di viaggio, che erano andati a cercare aiuto. Hanno detto che stava male, hanno indicato la sua posizione e chiesto che fosse soccorsa. Ma sono stati respinti in territorio bielorusso.

Gli agenti non hanno mostrato nessuna fretta di trovarla: secondo i testimoni si sono limitati a fermarsi e a guardare fuori dal finestrino dell’auto. I volontari, su richiesta dei parenti, hanno cercato la donna per giorni, setacciando la zona, chiamando ospedali e strutture della guardia di frontiera. Il 12 febbraio Piotr Czaban e Katarzyna Mazurkiewicz-Bylok hanno trovato il corpo.

“Ci sarebbe voluto così poco per salvarla. Sarebbe bastato mandare un paio di persone con le telecamere termiche, uno strumento in dotazione alle guardie di frontiera”, dice Kamil Syller, avvocato e attivista che vive nella regione della Pod­lachia. Czaban ha denunciato gli agenti.

Un migrante affetto dal piede da trincea, un’infezione fungina dovuta al freddo e all’umidità, ottobre 2022 (Hanna Jarzabek)

“La polizia mente”, afferma Syller. “Dice che non stava pattugliando, poi dice il contrario. Uno degli agenti parlava bene l’inglese, quindi non c’era alcuna barriera linguistica con gli altri migranti. Le guardie si sono recate sul posto, ma non sono scese dall’auto, ci sono dei testimoni”.

Si sa che il bosco è pieno di corpi. Il Gruppo Granica, un’associazione per l’aiuto ai migranti, riferisce di aver ricevuto segnalazioni su circa trecento persone scomparse dall’inizio della crisi. Le informazioni arrivano dai familiari e dai compagni di viaggio, che a volte forniscono la posizione approssimativa della zona in cui potrebbero trovarsi i loro cari.

“Le indicazioni che le famiglie inviano sono spesso imprecise. A volte non sappiamo nemmeno se le persone che cerchiamo sono scomparse in Polonia, in Bielorussia o in Lituania”, spiega. “Di alcune conosciamo nome e cognome, ma ce ne sono sicuramente molte altre che ancora nessuno sta cercando o che sono partite da sole, senza mantenere i contatti con le famiglie. La possibilità di trovare queste persone è molto alta quando si setacciano boschi e foreste”, aggiunge.

Il 16 febbraio è stata organizzata la prima grande ricerca con la partecipazione di 23 attivisti, dei vigili del fuoco di Michałów e della polizia. Alla base di queste ricerche c’era una testimonianza secondo cui insieme a Dehya, sepolto il 9 febbraio, c’era un compagno di viaggio, e anche lui molto probabilmente non ce l’ha fatta.

Migranti eritrei nella foresta di Białowieża, novembre 2022 (Hanna Jarzabek)

“Si sapeva che erano entrati in territorio polacco attraverso le paludi del fiume Leśna”, racconta Syller. “È proprio in quest’area che abbiamo cominciato le ricerche. Sapevamo che in queste foreste sono scomparse centinaia di persone, quindi era molto probabile che mentre ne cercavamo una, ne avremmo trovata un’altra. Ed è esattamente quello che è successo. Abbiamo trovato un etiope invece di uno yemenita”.

Angoli irraggiungibili

Come mai in questo caso c’è stata la collaborazione tra attivisti e agenti della polizia polacca, che notoriamente sono poco disponibili, se non addirittura ostili, verso chi fornisce assistenza umanitaria ai migranti? È stato grazie all’impegno di Piotr Czaban, giornalista e attivista, a cui molte persone si rivolgono per chiedere aiuto nella ricerca dei propri cari. Czaban denuncia le sparizioni alla polizia, aiuta a identificare i corpi e fa da intermediario con le famiglie delle vittime. Grazie a questa collaborazione è in grado di costruire un rapporto di fiducia reciproca con le autorità.

“Czaban mantiene i contatti con le sedi della guardia di frontiera di Hajnówka e Białystok, e collabora all’identificazione delle vittime. La polizia riceve dalla nostra rete d’assistenza le foto delle persone scomparse, che possono aiutare a dare un nome a un cadavere anche quando è in avanzato stato di decomposizione. Per esempio, qualche tempo fa sono stati ritrovati un teschio e degli occhiali, e sono stati confrontati con quelli visti nelle foto delle persone scomparse. Questo ovviamente non garantisce un’identificazione sicura, ma da qualche parte bisogna pur cominciare”, dice Syller.

“Ci sono troppi dispersi, la collaborazione è necessaria. Certo, si può anche cercare di costringere le autorità a muoversi ricorrendo ai mezzi d’informazione, scrivendo lettere, facendo pressione. Un metodo conflittuale ma che funziona, perché i funzionari di solito non fanno nulla”, dice Syller. Agata Kluczewska della fondazione Wolno Nam, che ha partecipato alla ricerca, è dello stesso parere: “Quando un bambino si perde, le autorità locali e tutto il paese si mobilitano. Quello che abbiamo fatto noi è stato proprio questo: ventidue persone hanno camminato insieme e setacciato il bosco. Certo, si può mandare una pattuglia della polizia, denunciare una scomparsa, ma sappiamo che se cerchiamo muovendoci in ordine sparso, le possibilità di trovare qualcuno sono molto più alte. Allo stesso tempo, grazie alla polizia siamo riusciti a entrare in una strada forestale in cui l’accesso è vietato”. Infatti non è possibile entrare nella foresta nella zona turistica della Podlachia. Le guardie forestali di Białowieża e Hajnówka hanno imposto questo divieto per tutto il 2023.

Finora i gruppi di ricerca erano composti da due o tre persone, ma ora hanno coinvolto attivisti, funzionari pubblici e i biologi dell’Accademia delle scienze polacca, che hanno esperienza nella ricerca di resti umani nella foresta. Non è una cosa facile. “A volte battere un’area di poche decine di metri può rivelarsi impossibile. Per esempio, poco tempo fa ci è stato segnalato un luogo che si trova nel bel mezzo di una palude. Lì non si entra, è possibile setacciare solo i dintorni. Si va a piedi, con gli stivali, ma la palude ti risucchia. Servono corde, attrezzature speciali”, dice Kluczewska. Ma anche quando il terreno è più agibile è facile non notare un corpo.

“Bisogna riunire decine di persone, avere qualche ora di tempo libero. La polizia ha fissato le ricerche di giovedì, un giorno feriale, e questo restringe il numero di volontari che possono aiutare. Di sabato ce ne sarebbero di più”, dice Syller.

I volontari avevano gilet dai colori vivaci, walkie-talkie e un telefono satellitare, perché in questa zona non c’è copertura. Gli agenti di polizia avevano un drone, ma non è molto efficace nella ricerca dei cadaveri. Come spiegano gli attivisti, i corpi sono molto difficili da individuare e spesso sono divorati dagli animali.

Intorno alle 11, gli attivisti si sono imbattuti nel cadavere di un uomo di venti o trent’anni. “Ho visto una giacca strappata e dei vestiti sparpagliati intorno: un corpo!”, ha scritto Kluczewska su Facebook. “Mi sono avvicinata e ho gridato per chiamare gli altri. Secondo le norme dobbiamo stabilire chi rimane sul posto, avvisare la polizia, contarci tutti un’altra volta. E poi lo scontro con la realtà. Non c’era nessun corpo, ma solo delle ossa. Un bacino, mi sembra che potesse stare in due mani. Questi una volta erano i fianchi di qualcuno. Ora era solo una fragile ciotola. Anche il cranio era così piccolo. Credo che ci fosse ancora della pelle. L’uomo era così piccolo e fragile”.

La tomba del figlio non ancora nato di una migrante morta di ipotermia. Bohoniki, Polonia, ottobre 2022 (Hanna Jarzabek)

Vicino al corpo c’erano delle foto. Secondo gli accertamenti di Małgorzata Rycharska dell’organizzazione Hope and humanity, il defunto era di nazionalità etiope. Pare che viaggiasse insieme a un amico che è stato respinto oltre confine dalle guardie polacche ed è morto in territorio bielorusso. Poche ore dopo, lo stesso 16 febbraio, altri due corpi sono stati ripescati dal fiume Świsłocz.

Solo i più forti

Vicende macabre e drammatiche di cui è difficile parlare. Eppure gli abitanti della Podlachia sentono che nessuno rimane colpito da quanto sta succedendo. Vedere i bambini accampati nella foresta è stato uno shock, ma anche a questo ci si può abituare.

I giovani migranti non suscitano simpatia in Polonia, ma un’ostilità generale, perché corrispondono allo stereotipo diffuso dalla propaganda governativa dello straniero che va in giro a violentare le donne polacche. E in questa stagione sono proprio i giovani che hanno il coraggio e la forza di tentare il viaggio. È anche per effetto della barriera costruita dal governo polacco se arrivano meno famiglie con bambini e più persone in grado di arrampicarsi o camminare attraverso le paludi.

“Negli ultimi tempi la temperatura non è scesa sotto zero, ma ci sono state pioggia e neve. C’è molta acqua. Già nel 2021, quando le condizioni erano difficili, i trafficanti limitavano i passaggi”, spiega Syller. Ma non tutti lo fanno, quindi c’è sempre qualcuno che prova ad attraversare queste foreste. “I trafficanti sono pagati prima con un anticipo e poi, quando le persone riescono a raggiungere la loro destinazione, ricevono il resto. Più persone passano, maggiore è il guadagno. Inoltre alle autorità bielorusse conviene che gli stranieri riescano ad attraversare il confine e non facciano ritorno. Per questo picchiano violentemente chi è fermato dalle guardie polacche e respinto in territorio bielorusso”, spiega l’attivista. “I giovani non suscitano simpatia. Per i polacchi rappresentano una minaccia, come dimostrano i sondaggi”.

“Queste persone non stanno morendo perché la foresta è pericolosa, ma perché lo stato polacco gli dà la caccia in modo disumano”

Ogni volta che si ha notizia del ritrovamento di un cadavere, i parenti delle persone scomparse si mettono in contatto.Per esempio la figlia di Christine Anatou, proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo, ha inviato un disegno della madre, che avrebbe potuto trovarsi nella zona durante l’estate. Il fratello di Brahim invece ha scritto di aver perso i contatti con lui a luglio.

“Quando ero piccola per cinque anni non abbiamo saputo niente di mio padre”, racconta Agata Kluczewska. “So quanto sia importante sapere cosa succede ai nostri cari. Anche se è una brutta notizia, è necessaria per chiudere una fase. Altrimenti si vive con un peso costante, non si può dire del tutto addio a quella persona o smettere di cercarla. Prendere coscienza di come sono andate le cose, anche nella maniera più tragica, ti permette di elaborare il lutto e di andare avanti”, spiega.

Gli attivisti dicono che organizzeranno altre ricerche. “Ora è più facile, poi arriverà la primavera e si coprirà tutto di verde. Sicuramente continueremo a cercare, perché sappiamo che c’è la possibilità di trovare qualcun altro”, dice Syller. “Alcune zone della foresta sono piene di morti e bisogna fare il possibile per assicurarsi che siano trovati. Nessuno si illude che non trovare cadaveri durante una ricerca sia un buon segno: non significa che le persone scomparse siano vive. Molti migranti che hanno attraversato il fiume Leśna hanno riferito che i loro compagni di viaggio sono rimasti lì. È un dovere umanitario trovarli e avvisare le loro famiglie”.

Secondo Adam Wajrak, che ha partecipato alle ricerche, la colpa di queste morti è dello stato polacco e dei suoi funzionari, che agiscono contro la legge. “Queste persone non stanno morendo perché la foresta è pericolosa, ma perché il nostro stato gli dà la caccia in modo disumano. Stanno morendo perché hanno paura di chi porta l’uniforme polacca”, scrive.

Wajrak spera nella magia della foresta di Białowieża: “Qui è dove è crollata l’Unione Sovietica, questo luogo ha cambiato il rapporto di molti polacchi con le foreste e la natura selvaggia. È possibile che cambi anche quello con gli stranieri”.

Silenzio trasversale

Gli abitanti della Podlachia sentono di essere stati lasciati soli di fronte a questo dramma. Nella regione è stato dichiarato lo stato di emergenza e le zone turistiche sono state chiuse per dieci mesi. Quest’area non è più associata alla tranquillità e al contatto con la natura, ma ai camion pieni di soldati, al filo spinato e alla paura di inciampare in un corpo mentre si cammina.

Già un anno fa i residenti e gli imprenditori avevano descritto le conseguenze dello stato di emergenza a Marcin Wiąck, portavoce dei diritti dei cittadini. Proprietari di alberghi, guide, trasportatori e commercianti di prodotti locali avevano raccontato le loro difficoltà quotidiane.

Alcuni hanno creduto alla propaganda del governo, secondo cui la colpa di tutto è dei migranti, e hanno approvato la costruzione della barriera, convinti che avrebbe risolto il problema e che le cose sarebbero tornate come prima. Ora vedono che non è così.

Le autorità locali non sono riuscite ad approfittare della situazione per ottenere fondi che permetterebbero ai comuni più poveri di investire nelle infrastrutture, migliorare le strade o magari pubblicare una guida regionale. Uno dei comuni ha ricevuto 62mila złoty (tredicimila euro) per riempire le buche lasciate dai mezzi pesanti.

Da sapere
Il ricatto di Lukašenko

◆ La crisi dei migranti al confine tra Polonia e Bielorussia è scoppiata nell’estate del 2021, quando il governo di Minsk ha incoraggiato migliaia di persone a entrare illegalmente in territorio polacco. L’iniziativa era una risposta al sostegno offerto dall’Unione europea, e in particolare dalla Polonia, al movimento bielorusso nato dopo le elezioni del 2020 che contestava il presidente Aleksandr Lukašenko. I migranti, attirati con la prospettiva di entrare liberamente nell’Unione europea, sono stati portati in Bielorussia con voli organizzati dal governo di Minsk e scortati fino alla frontiera con la Polonia dalle forze di sicurezza bielorusse. Il governo polacco ha reagito dichiarando lo stato d’emergenza nelle regioni di confine, costruendo una barriera e mobilitando l’esercito, che ha respinto con la forza tutti i tentativi d’ingresso. I migranti, a cui gli agenti bielorussi impedivano di tornare indietro, sono rimasti bloccati per settimane nelle foreste e negli acquitrini della zona. Entro l’autunno del 2021 le pressioni europee hanno spinto i paesi di provenienza a sospendere i voli verso la Bielorussia, ma anche se i numeri sono calati il flusso dei migranti è continuato fino a oggi.


Anche con i risarcimenti le cose non vanno molto bene, perché chi fa richiesta può trovarsi nelle mani dei funzionari dell’ufficio delle imposte.

Ormai la maggior parte dei polacchi comincia a rendersi conto che i boschi ai confini del paese sono pieni di cadaveri. Ma capiranno che questa è la conseguenza delle scelte disumane del loro governo? E dei respingimenti illegali che costano la vita a persone che potrebbero vivere e lavorare in Polonia?

Esponenti dell’opposizione e del mondo della cultura hanno protestato contro questi abusi. Dopo gli ultimi episodi più di cento scienziati e intellettuali hanno firmato una lettera aperta: “Chiediamo ai politici responsabili di questa situazione di tornare in sé. Queste norme illegali devono essere abrogate immediatamente”.

Si può sperare che le elezioni parlamentari del prossimo autunno cambino la situazione? I liberali centristi di Coalizione civica, la principale forza d’opposizione, hanno deciso di tacere sulla questione del confine polacco-bielorusso. Il parlamento ha approvato il decreto sui respingimenti e ha applaudito le autorità che da mesi calpestano i princìpi etici più elementari.

I politici vedono dai sondaggi che la difesa dei diritti umani contrasta con la xenofobia dei polacchi. Per questo è meglio non parlare di quello che succede al confine bielorusso, e discutere di come i funzionari pubblici si comportano potrebbe risultare troppo difficile da digerire per gli elettori. Ma ci si può sentire al sicuro in un paese in cui una ragazza muore tra i cespugli al bordo di una strada, e i poliziotti lo sanno ma non vogliono alzarsi dalle loro sedie per cercarla e portarla in ospedale? ◆ dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1506 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati