Un giorno Sara Khadem farà un discorso a suo figlio Sam, che non ha ancora compiuto un anno. Gli spiegherà perché il 26 dicembre del 2022 ha deciso di giocare i mondiali di scacchi in Kazakistan senza indossare il velo, un’infrazione alle regole considerata molto grave nel suo paese, l’Iran. Khadem, 25 anni, l’ha fatto in segno di protesta per l’uccisione di Mahsa Jina Amini, la ragazza di 21 anni morta il 16 settembre tre giorni dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa di Teheran per aver indossato il velo in modo scorretto. Spiegherà anche al figlio perché sono emigrati in Spagna con il papà, Ardeshir Ahmadi, regista, presentatore televisivo e imprenditore, finito in carcere per tre mesi nel 2015. Il sorriso angelico di Sam accompagna quest’intervista, condotta in un luogo segreto per motivi di sicurezza e per paura di rappresaglie contro i familiari in Iran. Lì per finire in prigione basta molto meno di quello che Khadem dice durante il nostro colloquio.

Sara Khadem (si fa chiamare così, anche se il suo nome ufficiale è Sarasadat Khademalsharieh), Ardeshir e Sam danno l’impressione di una felice famiglia d’immigrati che si è appena trasferita nella nuova casa in un bel complesso residenziale. Ma l’entusiasmo della coppia è offuscato dalla tristezza di aver dovuto lasciare il paese d’origine in una situazione molto difficile.

“Provo emozioni contrastanti. Prima della nascita di nostro figlio non avevamo mai pensato di emigrare. Grazie agli scacchi ho sempre viaggiato molto. La situazione in Medio Oriente è instabile e molte persone hanno un piano b per andarsene se le cose dovessero mettersi male. Io però non mi sono mai preoccupata perché, come sportiva di alto livello, non ho mai avuto problemi a ottenere un visto”, spiega. Lo stesso vale per il marito, che ha la doppia cittadinanza iraniana e canadese. “Quando è nato Sam è cambiato tutto”, continua Khadem. “Ho cominciato a pensare che fosse importante vivere in un posto in cui poter lasciare uscire mio figlio a giocare senza dover stare in pensiero. La Spagna si è rivelata la scelta migliore, pensando a Sam. Vederlo felice qui rende felici anche noi. E il carattere degli spagnoli è molto simile a quello degli iraniani. Sono accoglienti e gentili”.

Il clima è rilassato, tranne quando le domande toccano argomenti delicati, a cui Khadem risponde con cautela. Non ha tutti i torti: lo stesso giorno dell’intervista, il 10 gennaio, un tribunale iraniano ha condannato a cinque anni di prigione l’attivista Faezeh Hashemi Rafsanjani, figlia di Ali Akbar Rafsanjani, ex presidente dell’Iran e fondatore della Repubblica islamica. A luglio era stata accusata di “propaganda contro la Repubblica islamica” per aver criticato i guardiani della rivoluzione. A settembre era stata arrestata “per aver incitato i rivoltosi” che protestavano per la morte di Mahsa Jina Amini. Se certe cose possono succedere alla figlia di un eroe nazionale, Khadem e Amadi non possono dormire sonni tranquilli, nonostante siano molto conosciuti in Iran e abbiano buoni contatti ai vertici del potere.

Non sono io

Khadem ha paura per i suoi parenti in Iran: “Spero che non subiscano ritorsioni, perché se c’è qualcuno che deve giustificarsi per il mio gesto sono io, non loro”, sottolinea. La scacchista teme anche quello che potrebbero fare iraniani ostili residenti in Spagna. Ma non pensa alla cautela quando le chiedo del suo rapporto con il velo: “Sarò onesta. Prima di questi mondiali quando andavo ai tornei lo indossavo solo se c’erano le telecamere, perché rappresentavo l’Iran. Ma con il velo non sono io, non mi sento bene, e volevo mettere fine a questa situazione. Così ho deciso di non metterlo più”.

A dodici anni era campionessa mondiale. Ma il ritorno con la medaglia d’oro alla sua scuola di Teheran fu traumatico

Ha giocato senza l’hijab, obbligatorio in Iran per le donne e le bambine dai 9 anni, nel bel mezzo di un’ondata di proteste nel paese che ha portato a migliaia di arresti (circa ventimila, secondo alcune ong iraniane in esilio), ad almeno sedici condanne a morte e a quattro esecuzioni. Amnesty international denuncia da anni la mancanza di diritti delle iraniane. Nel suo ultimo rapporto annuale l’ong osserva: “Le donne hanno continuato a essere discriminate su questioni come il matrimonio, il divorzio, l’impiego, l’eredità e le cariche politiche”. E aggiunge: “Le discriminatorie norme sull’obbligo d’indossare il velo hanno condizionato la vita delle donne, sottoposte a molestie quotidiane, detenzioni arbitrarie, aggressioni equiparabili a torture, ed escluse dall’istruzione, dal lavoro e dagli spazi pubblici”.

Materie più utili

Le foto di Khadem senza il velo ai mondiali hanno fatto il giro del mondo. Ma la sua vita è interessante fin dall’infanzia. Era una bambina prodigio, e già a 8 anni cominciò a giocare a livello agonistico, partecipando a tornei internazionali: “Viaggiare è la scuola migliore, anche nei momenti difficili. Ricordo in particolare un viaggio fatto da bambina in Cina: alloggiammo in un dormitorio in pessime condizioni. Sono esperienze che ti rendono più forte”.

A 12 anni era campionessa mondiale. Ma il ritorno con la medaglia d’oro nella sua scuola di Teheran fu traumatico: “Invece di congratularsi con me, la mia insegnante mi disse che sarebbe stato meglio dedicare il mio tempo alla matematica o ad altre materie più utili. Non mostrò nessuna empatia. Ma io ho resistito e sono andata avanti”. Cominciò ad andare a scuola solo per sostenere gli esami, ai quali dedicava poco tempo, perché era quasi sempre in viaggio per i tornei. Aveva il sostegno incondizionato dei genitori, fattore che Khadem considera una delle chiavi del suo successo: è stata campionessa mondiale under 16 negli scacchi lampo (cinque minuti a giocatore) nel 2013 ed è arrivata seconda nella modalità classica under 20 nel 2014, a 17 anni.

A 19 anni ha conosciuto Ardeshir, che a quel punto aveva già passato tre mesi nel carcere di Evin, la “peggiore prigione dell’Iran”, come la definisce lui. Le accuse non erano chiare, ma probabilmente erano legate a un servizio televisivo su un gruppo musicale underground.

Si sono sposati nel 2017 e hanno approfittato della partecipazione di lei a varie edizioni del torneo di Gibilterra (il miglior open del mondo) per visitare la Spagna, che è piaciuta subito a entrambi. Alla fine del 2018, a 21 anni, Khadem era già tra le venti scacchiste migliori del mondo negli scacchi classici e si era classificata seconda in quelli rapidi e lampo. Il suo futuro sembrava brillante, ma le cose stavano per cambiare. Tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 ha dimostrato il suo coraggio in due occasioni. Ha pubblicato un video per sostenere Alireza Firouzja, il bravissimo giocatore di scacchi iraniano, allora sedicenne, che era emigrato in Francia con la famiglia e aveva cambiato nazionalità, stufo di essere costretto dal governo a perdere a tavolino ogni volta che doveva affrontare un israeliano. Quell’ordine severo è imposto a tutti gli sportivi iraniani, anche ai bambini. Ho assistito personalmente a queste situazioni, per esempio in occasione dei mondiali under 8, under 10 e under 12, dove allenatori o delegati iraniani davano spiegazioni, rigorosamente lontano dai microfoni, che si potevano riassumere così: “Per me non è un problema se i miei ragazzi hanno amici israeliani o giocano a calcio con loro, ma se gli permettessi di fare una partita ufficiale di scacchi contro di loro la punizione sarebbe durissima”.

Dato che la posizione del governo iraniano sulla questione è inflessibile, Khadem è cauta quando le chiedo di parlarne: “Se giochiamo contro un israeliano abbiamo un problema. Se non giochiamo, abbiamo comunque un problema. Rispondere a questa domanda mi dà la stessa sensazione: avrò delle grane a prescindere da quello che dico. Quindi preferisco non esprimermi”. Le sue parole su Firouzja sono più schiette: “L’ho appoggiato, i risultati che ha ottenuto dopo essersi trasferito in Francia (ora è quarto nel mondo, a 19 anni) dimostrano che ha fatto bene. Affermare che sono stata punita per questo sarebbe eccessivo. Diciamo che non è piaciuto”. I fatti, però, indicano che è stata punita: tre settimane dopo non ha giocato a Gibilterra, nonostante fosse iscritta al torneo; due fonti dell’organizzazione hanno dichiarato che il passaporto le era stato ritirato all’aeroporto di Teheran. Pochi giorni prima Khadem aveva annunciato le dimissioni dalla nazionale in segno di protesta per quello che era successo l’8 gennaio 2020: un missile antiaereo iraniano aveva abbattuto un aereo ucraino con 176 persone a bordo, nessuna era sopravvissuta. Per il governo di Teheran si era trattato di un errore. Khadem ricorda: “Il popolo iraniano era affranto, me compresa. Per questo ho deciso di lasciare la nazionale e ho smesso di giocare a scacchi per un po’”. Poi è arrivata la pandemia, che ha frenato definitivamente i suoi progressi.

Regole estreme

C’è un paradosso: oggi l’Iran è una delle grandi potenze scacchistiche dell’Asia, dopo l’India e la Cina. Firouzja e Khadem sono i suoi talenti più brillanti, la punta di un solido iceberg, con altri giovani molto promettenti come Parham Maghsoodloo e Amin Tabatabaei.

Dopo la rivoluzione islamica del 1979, gli scacchi in realtà furono vietati dal governo dell’imam Khomeini. Il motivo è curioso. Durante il medioevo, in alcune parti del mondo si giocava a scacchi in combinazione con i dadi e si scommettevano soldi. Il Corano proibisce il gioco d’azzardo e le scommesse. L’ayatollah Khomeini interpretò questa regola in modo estremo e alcuni giocatori professionisti furono costretti a lasciare il paese.

Sara Khadem ai mondiali in Kazakistan, dicembre 2022 (Pavel Mikheyev, Reuters/Contrasto)

Alcuni intellettuali provarono a riportare il buonsenso. Nella storia degli scacchi, ricordavano, la Persia è fondamentale: probabilmente il gioco arrivò qui dall’India intorno al sesto secolo, prima di viaggiare verso il sud dell’odierna Spagna alla fine dell’ottavo secolo. Da tanto tempo non si giocava più con i dadi e le scommesse, e quale migliore intrattenimento c’era per i guerrieri musulmani di un gioco di guerra? Khomeini rettificò la sua posizione poco prima della morte, e a quel punto gli scacchi diventarono molto popolari.

Khadem lo spiega così: “Prima della rivoluzione si giocava già molto dentro le case. Avevamo grandi maestri come Khosro Harandi, che poi è diventato il mio primo allenatore. Questa situazione di partenza ha accelerato l’emergere di ottimi giocatori”.

Khadem farà ripartire la sua carriera dalla Spagna? “Sì, continuerò a giocare per la nazionale iraniana. Voglio entrare tra le prime dieci al mondo (ora è diciassettesima). Voglio anche condurre dei programmi di scacchi in streaming. Ho questa idea da anni, ma non volevo farlo in Iran con il velo”. Per raggiungere obiettivi così ambiziosi ci vuole molto tempo, che al momento non ha. Anche perché da un anno e mezzo, dopo la gravidanza, è presa da libri di psicologia infantile: “Una parte importante del carattere di una persona si forma durante l’infanzia. Il contributo dei genitori in questa fase avrà un effetto a lungo termine”. Ma ha il sostegno del marito: “Essere una giocatrice professionista significa dedicare molte ore al giorno agli scacchi. Ardeshir mi aiuta e questo mi permette di rimanere la stessa persona che ero prima del matrimonio”.

Il coraggio di Kasparov

Sara Khadem ha tre modelli di riferimento: Garri Kasparov, Judit Polgár e Magnus Carlsen. Kasparov, che è uno strenuo oppositore di Putin dal ritiro dalle competizioni di alto livello nel 2007, è emigrato negli Stati Uniti nel 2013 perché la sua vita era in pericolo, e ancora oggi si espone contro il Cremlino. “Lo ammiro, è coraggioso. Anche io lotto, nei limiti delle mie possibilità per rendere il mondo un posto migliore”, dice Khadem.

L’ungherese Polgár, l’unica donna a entrare nella lista dei migliori dieci scacchisti del mondo, ha frequentato la scuola solo per gli esami (come Sara dall’età di 13 anni). Dal suo ritiro, nel 2014, si batte per due cose principali: introdurre gli scacchi nei programmi scolastici e aumentare il numero di giocatrici, che oggi sono ancora poche (circa il 10 per cento). Khadem collega i due temi: “Gli scacchi sono molto utili nell’apprendimento. Voglio insegnarli a Sam, a prescindere dal fatto che poi lui scelga di diventare un giocatore professionista. E sono considerati uno sport maschile, ma questo deve cambiare, le ragazze devono vederlo come un gioco che possono fare anche loro. È importante inserire gli scacchi come strumento già nella scuola dell’infanzia e sensibilizzare gli insegnanti, affinché non si ripetano situazioni frustranti come quella che ho vissuto quando avevo dodici anni. Penso che il recente successo mondiale della serie tv La regina degli scacchi possa aiutare molto”.

Magnus Carlsen, norvegese, oggi è il numero uno indiscusso. Ma è anche al centro delle cronache per uno scandalo: ha accusato senza prove lo statunitense Hans Niemann di aver imbrogliato (con l’aiuto del computer) nella partita che lo scandinavo ha perso il 4 settembre a St. Louis, negli Stati Uniti. Niemann gli ha fatto causa per centinaia di milioni di dollari. Khadem è confusa: “Ho l’impressione che Niemann non abbia barato in quella partita. D’altra parte nutro un grande rispetto per Carlsen. Dobbiamo aspettare che l’intera faccenda sia chiarita”.

Mentre parla, Khadem sorride molto, come se volesse addolcire ogni sua opinione. Ma l’espressione diventa più seria quando si torna a parlare d’Iran. “Grazie ai social network oggi la maggior parte degli iraniani può vedere quanto i diritti umani siano importanti nel resto del mondo e come le persone lottino per ottenerli se vengono violati. È quello che sta succedendo nel mio paese. Noi donne stiamo combattendo per la libertà”. Anche qui c’è un paradosso: il 60 per cento degli studenti universitari iraniani è composto da donne, ma in parlamento le elette occupano solo 16 seggi su 290: “Purtroppo ci sono persone al potere che non considerano le donne capaci di fare politica. Ci vogliono tutte casalinghe. Ma alcune di noi stanno lottando per cambiare la situazione e credo che ci riusciranno, perché anche le più anziane vedono cosa succede nel resto del mondo e molte sostengono le proteste delle giovani”.

C’è un’usanza che viene data per scontata dalla maggior parte delle iraniane, soprattutto dalle ragazze, ma che chi visita l’Iran nota subito: l’abbigliamento delle donne in casa è molto meno pudico di quello usato all’aperto. “È ovvio. In un paese con regole così rigide le persone si comportano come sono realmente solo in quel contesto, non per strada”, osserva Khadem.

Un posto migliore

C’è anche un fattore anagrafico da tenere in considerazione. L’età media in Iran è di 31,7 anni. È chiaro che la maggior parte dei giovani si oppone al governo. Il paese è forse una bolla pronta a scoppiare? Come vede l’Iran tra dieci anni? “Penso che il mondo tenda sempre a migliorare. L’Iran non può essere un’eccezione. Faremo progressi in vari settori: diritti umani, ambiente e altro. L’Iran sarà presto un posto più vivibile”.

Mentre il piccolo Sam continua a esplorare i dintorni, la conversazione si conclude con un altro paradosso: “L’Iran fa notizia quasi sempre per questioni politiche. Ma la Persia è una delle culture più antiche e ricche del mondo. Nel corso dei secoli diversi scienziati persiani hanno dato importanti contributi all’umanità nel loro campo. Lo stesso vale per la letteratura (soprattutto la poesia) e l’arte in generale. Nel cinema abbiamo Abbas Kiarostami, Asghar Farhadi e altri registi che hanno vinto molti premi. Anche se mio marito è un regista, io non sono un’esperta. Ma vorrei conoscere molto di più di quel mondo”, dice ridendo.

La cultura persiana esisteva molto prima dell’islam. Si sente più persiana o più musulmana? “La prima è una nazionalità, la seconda è una religione. Sono iraniana”. Ma forse non è del tutto libera di dire la sua opinione: “Per me libertà è avere l’opportunità di essere se stessi. Non significa che tutti possono fare quello che vogliono. Ma credo che avere il diritto di provarci senza danneggiare gli altri sia fondamentale”. ◆ fr

Biografia

1997 Nasce a Teheran, in Iran.
2005 A 8 anni comincia a partecipare a tornei internazionali di scacchi.
2009 Vince i mondiali under 12 ad Antalya, in Turchia.
dicembre 2022 Ai mondiali in Kazakistan gareggia senza il velo, sfidando le leggi molto rigide imposte dal governo iraniano.
gennaio 2023 Dopo aver ricevuto telefonate che le sconsigliavano di tornare in patria alla fine del torneo, si trasferisce in Spagna.


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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati