Gli piace osservare la pioggia e sentirne l’odore. Ad aprile Ding Liren è diventato campione del mondo di uno sport molto duro, che a suo modo somiglia al pugilato. È il primo cinese nella storia a vincere i mondiali di scacchi. Ding oggi ha trent’anni, e gioca da quando ne aveva quattro. Si è laureato in giurisprudenza, costretto da suo padre. Legge molto, soprattutto libri di filosofia.

Il 30 aprile il successore al trono dello scacchista norvegese Magnus Carlsen ha sorprendentemente battuto in finale il russo Jan “Niepo” Nepomnjaščij ai mondiali di Astana, in Kazakistan. Le partite a tempo lungo, durate anche diverse ore, erano finite in parità. Ding ha vinto dopo il quarto spareggio in modalità rapida, che prevede un tipo di gioco più veloce e avvincente da seguire. Tra l’altro aveva partecipato al mondiale in seguito a un ripescaggio dopo la squalifica del russo Sergej Karjakin. Alla fine delle partite abbiamo parlato per venti minuti. Alcune frasi di questo articolo sono tratte da interviste rilasciate da Ding ai mezzi d’informazione cinesi.

La notte della vittoria il campione non ha dormito “neanche un minuto”, preso tra i festeggiamenti, l’emozione e le quindici interviste con i giornalisti del suo paese: “Ho avuto solo il tempo di fare una doccia”, ha raccontato. È molto umile e non parla bene in inglese. Si sentiva a disagio in un ambiente pieno di telecamere. Ha fatto comunque del suo meglio per accontentare tutti: “So che la stampa è importante”, ha commentato. Poco prima di parlare con me, è scoppiato in lacrime mentre registrava un’intervista con la Federazione internazionale degli scacchi (Fide): stava spiegando quali consigli gli aveva dato un amico dopo che aveva perso la seconda partita del mondiale.

È stato in quel momento che ha ricordato il titolo di un libro della poeta statunitense Louise Glück: Until the world reflects the deepest needs of the soul (Finché il mondo riflette le necessità più profonde dell’anima). Ding ha adattato i temi di quel libro, come la solitudine e le sofferenze d’amore, alla sua situazione sportiva ed emotiva, all’epoca segnata dalla fine della relazione con la sua fidanzata.

“Alcune letture mi hanno reso un giocatore migliore”, dice, e cita come esempio quello che è successo il 29 aprile, quando ha sofferto sei ore e mezzo per strappare un pareggio nell’ultima partita a tempo lungo del mondiale: “Mi sono ricordato del concetto di resistenza proposto dallo scrittore Albert Camus. L’idea è che se capisci che non puoi vincere, devi fare di tutto per resistere. Quell’idea mi ha dato la determinazione di cui avevo bisogno”. Ding pensa che ci sia un forte legame tra la filosofia e gli scacchi, “perché sono entrambi basati su concetti astratti”, aggiunge. Ma gli scacchi sono anche uno sport altamente competitivo, che obbliga a essere molto pragmatici ed efficaci, e che lo costringe a mettere da parte la sua personalità: “Sono allo stesso tempo molto emotivo e molto razionale. E sono anche un appassionato d’arte. Mi piace guardare e ascoltare la pioggia, o giocare a basket. Ma quando partecipo a un torneo devo dimenticare tutti questi sentimenti, essere solo rigoroso e professionale”.

Quando gli hanno chiesto se pensa che questo sia il momento più felice della sua vita, ha risposto con una citazione di un film di Woody Allen

Nuovi modi

Ci sono modi molto diversi di affrontare gli scacchi da professionista. Il russo Garry Kasparov, numero uno dal 1984 fino al suo ritiro nel 2005, non si accontentava di vincere la partita: voleva annientare l’avversario. Invece l’indiano, e induista, Viswanathan Anand, cinque volte campione del mondo, non ha mai mostrato una simile voglia di sopraffare lo sfidante. Ding ha un approccio tutto suo: “Mi considero uno studioso, un erudito che ama la ricerca, e penso di aver trovato nuovi modi per affrontare gli scacchi. Quando ho raggiunto i 2.500 punti nella classifica internazionale, arrivando tra i primi settecento al mondo, ho deciso di puntare ancora più in alto”.

Ding è nato a Wenzhou, nella provincia dello Zhejiang. È figlio di un’infermiera, che ad aprile l’ha accompagnato ad Astana ed è rimasta con lui per tutte e tre le settimane del campionato del mondo, e di un ingegnere elettrico che ha insistito perché non smettesse di studiare, nonostante i suoi successi negli scacchi fin da bambino. Il padre si è imposto e Ding ha dovuto frequentare giurisprudenza per cinque anni, anche se sapeva fin dall’inizio che non gli sarebbe piaciuto: “Sono cose di cui preferisco non parlare troppo”, commenta.

Risponde invece con entusiasmo alla domanda su dove troverà la motivazione per continuare a essere campione del mondo: “Devo costruire una squadra forte, con grandi maestri e computer potenti con cui allenarmi. Insomma, devo essere più professionale”. Appena un giorno prima aveva detto che per lui essere campione del mondo non era così importante, che quello che contava davvero era giocare sempre meglio.

Come un kamikaze

Dove ha trovato la motivazione per vincere una partita così difficile? “La chiave principale è stata l’analista delle mie partite, Richárd Rapport (romeno, di origini ungheresi, dodicesimo al mondo). È stato lui a contribuire a tutta la creatività che mi manca nelle aperture (le mosse che si fanno all’inizio di una partita)”. Se riuscirà a costruire una squadra così forte, pensa, non avrà paura di nessuno: “Sono pronto a tutte le sfide, compresa quella con Carlsen, se vuole riconquistare il titolo, o a difenderlo contro le giovani stelle”.

Ding si è comportato come un kamikaze in due momenti della partita, con risultati opposti.

A un certo punto era in una posizione molto vantaggiosa ma ha perso quando, con pochissimo tempo a disposizione, si è lanciato in un attacco rischiosissimo invece di fare mosse di attesa fino alla quarantesima e ultima mossa: “C’è una spiegazione facile. Semplicemente non mi sono reso conto del poco tempo che avevo a disposizione”. Ma ha vinto l’ultimo gioco rapido in circostanze molto simili: “Niepo era il favorito, lo sapevo, sia nel gioco rapido sia nel blitz (modalità nella quale ogni giocatore ha a disposizione solo cinque minuti per fare le sue mosse). Se quella partita fosse finita in parità, come le tre precedenti a tempo rapido, saremmo passati al blitz. Quindi ho giocato per vincere”.

Nell’intervista con la Federazione internazionale degli scacchi, quando gli hanno chiesto se pensa che questo sia il momento più felice della sua vita, Ding ha risposto con una citazione del film di Woody Allen Io e Annie: “Allen dice che la frase inglese ‘I love you’ non basta per esprimere i sentimenti nei confronti di qualcuno, e che ci dovrebbe essere un’espressione più potente di questa. Nel mio caso, felice non è sufficiente, bisogna trovare una parola più forte. È una liberazione enorme”.

Così grande che, confessa, aveva perfino pensato di abbandonare gli scacchi: “Prima del mondiale avevo detto a un amico che se avessi perso mi sarei ritirato. E anche che, siccome mi conosco bene, se avessi vinto avrei pianto molto. Ho vinto, ho pianto molto, non penso di ritirarmi e la mia vita sta prendendo un’altra direzione”. ◆ fr

Biografia

1992 Nasce a Wenzhou, in Cina.
1996 Comincia a giocare a scacchi.
2009 Vince i campionati nazionali cinesi.
2011 S’iscrive alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Pechino.
2014 Vince la medaglia d’oro con la squadra cinese alle olimpiadi degli scacchi.
2015 Diventa il secondo cinese nella storia a entrare nella classifica dei primi dieci giocatori del mondo.
aprile 2023 Vince contro ogni pronostico i mondiali in Kazakistan, battendo in finale il russo Jan “Niepo” Nepomnjaščij.


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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati