Non capita tutti i giorni che la Svizzera sia al centro dell’attenzione internazionale, e forse avrebbe potuto farne a meno. Il 9 aprile molti giornali stranieri hanno parlato della sua condanna per “inazione climatica”. Con un verdetto senza precedenti, la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha accolto il ricorso dell’associazione Aînées pour la protection du climat, anziane per la protezione del clima, che chiedeva al paese di fare di più contro il cambiamento climatico. Dopo la partecipazione di massa agli scioperi per il clima, e accanto a forme di attivismo più discusse come la disobbedienza civile, il ricorso alla giustizia è sempre più spesso considerato uno strumento di pressione efficace. L’estate scorsa alcuni giovani hanno vinto una causa contro lo stato del Montana, negli Stati Uniti, sostenendo di avere il diritto costituzionale a un “ambiente pulito e sano”.

Mentre il riscaldamento globale avanza e il marzo 2024 è il decimo mese consecutivo più caldo mai registrato, le firmatarie del ricorso hanno solide argomentazioni scientifiche a loro favore. Hanno infatti sottolineato un aspetto indiscutibile del cambiamento climatico, cioè l’aumento delle ondate di calore e il fatto che provocano una crescita netta della mortalità tra gli anziani. Questo è bastato alla corte per stabilire che i loro diritti erano stati violati.

La sentenza ha suscitato reazioni virulente da parte dei partiti di destra, secondo cui la corte si sarebbe avventurata in un terreno politico che non le compete. Di sicuro non è mai piacevole subire critiche, soprattutto quando gli altri paesi sono tutt’altro che esemplari. Ma d’altro canto sarebbe lecito aspettarsi che la Svizzera, con il suo alto tenore di vita e la sua grande capacità d’innovazione, s’impegni di più. Dopo il verdetto della Cedu, il paese ha il dovere di rivedere il suo atteggiamento rispetto al clima. Il governo e il parlamento devono assumersi le loro responsabilità davanti a un fenomeno che minaccia i diritti umani della popolazione. Bisogna applicare in modo ambizioso la legge sul clima del 2023, che ha l’obiettivo di azzerare le emissioni nette entro il 2050. Nel referendum del 9 giugno gli elettori potrebbero dare un altro segnale approvando la legge per l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati