Nell’agosto 1944 gli attacchi aerei britannici demolirono gran parte della città di Königsberg, che letteralmente significa “montagna del re”, nella regione della Prussia Orientale. L’anno successivo il primo territorio tedesco in cui entrò l’Armata rossa fu proprio quella regione, che avrebbe assicurato a Mosca porti fondamentali lungo la costa baltica nella marcia verso la vittoria a Berlino.

Dopo quattro anni di combattimenti incessanti, fame e morte, l’Armata rossa considerava questo territorio un prezioso “trofeo di guerra”; seguirono uccisioni di massa e atrocità contro i civili. “I soldati sovietici avevano sperimentato gli orrori dell’invasione tedesca. In Unione Sovietica quasi tutti avevano un parente o un amico morto nel conflitto”, spiega Nicole Eaton, che insegna storia al Boston college, negli Stati Uniti. “Tutti avevano sofferto la fame e le loro vite erano state distrutte dai tedeschi. La Prussia Orientale, come primo territorio tedesco in cui entrarono i sovietici, diventò il luogo della loro vendetta”.

La Casa dei soviet a Kaliningrad, giugno 2021 (Elena Chernyshova, Panos/Parallelozero)

L’Armata rossa rimase nella regione e con la conferenza di Potsdam del 1945 Mosca mantenne il controllo su Königsberg e gran parte del territorio circostante. Nel 1946 Königsberg fu rinominata Kaliningrad, in onore del rivoluzionario bolscevico Michail Kalinin, e negli anni seguenti sarebbe diventata un avamposto militare sovietico con accesso al mar Baltico, un punto di controllo strategico in Europa. Come ha scritto Eaton nel suo libro German blood, slavic soil (Sangue tedesco, terra slava), Kaliningrad è “l’unica città a essere stata sotto il dominio sia di Hitler sia di Stalin. Non solo in tempo di guerra, ma anche come parte integrante dei loro imperi”.

Più della metà della popolazione di Königsberg, composta da circa 375mila persone, era stata uccisa o sfollata durante la guerra. Successivamente le autorità sovietiche impedirono ai tedeschi rimasti nella regione di andarsene, per poi deportarli in massa nel 1947 e 1948. “C’è una cosa che rende unica la Kaliningrad di oggi: la storia della sua popolazione risale solo al 1945”, commenta lo storico Tomasz Kamusella, che insegna all’università di St. Andrews, nel Regno Unito.

In effetti nel 1946 il programma sovietico di “ripopolazione” della regione di Kaliningrad aveva già preso un buon ritmo, attirando coloni dalla Russia e, in misura minore, da altre repubbliche sovietiche come la Bielorussia e l’Ucraina. Molti, avendo subìto l’occupazione nazista e la distruzione delle loro città, erano pronti a spostarsi nel nuovo territorio sovietico e ricostruire lì le loro vite. Già all’inizio degli anni cinquanta, circa 400mila persone provenienti da tutta l’Unione Sovietica vivevano a Kaliningrad.

Per la prima volta

Quando l’Unione Sovietica crollò nel 1991 e i vicini paesi baltici riacquistarono l’indipendenza, Kaliningrad e i suoi abitanti furono tagliati fuori dal resto della Federazione russa appena formata. La regione diventò un’exclave, cioè un territorio circondato da uno stato diverso da quello a cui appartiene. All’inizio degli anni duemila si trovò stretta tra la Lituania e la Polonia, paesi appartenenti all’Unione europea e alla Nato.

Il museo di storia e arte di Kaliningrad, giugno 2021 (Elena Chernyshova, Panos/Parallelozero)

La ritrovata indipendenza degli ex stati comunisti portò a una crisi d’identità: per la prima volta in cinquant’anni gli abitanti di Kaliningrad potevano parlare apertamente di quello che era successo alla loro città prima e dopo la seconda guerra mondiale. “Improvvisamente si era formata una nuova narrazione. Non c’era più solo lo slogan ‘siamo venuti a costruire il socialismo sulle rovine del fascismo’”, dice Eaton, riferendosi al credo diffuso dal Partito comunista sulla costruzione postbellica di Kaliningrad. “Le persone hanno cominciato a pensare e a parlare della loro eredità tedesca come non erano state in grado di fare prima”.

Eaton descrive gli anni novanta e i primi anni duemila come un periodo di “euroentusiasmo dopo il crollo sovietico”. Allora Mosca aveva concesso una certa libertà alle regioni, consentendogli di eleggere i loro governi senza interferire. Ma verso la metà degli anni duemila “Vladimir Putin stava ripensando la politica economica della Russia e cominciò a dare particolare attenzione a luoghi come Vladivostok a est e Kaliningrad a ovest”, continua Eaton. “Il Cremlino investì molti soldi in queste zone per farle sentire più ‘russe’, dato che le città portuali e cosmopolite sembravano defilarsi e formare forti identità locali”.

Jurij, uno psicologo originario di Kaliningrad che ora vive a Tbilisi, in Georgia, ricorda: “Dopo il 1991 abbiamo improvvisamente cominciato a chiederci ‘Cos’ è Kaliningrad? La città di Kalinin?’. Ma lui era un bolscevico, e noi non siamo più comunisti. Allora siamo prussiani? Ma non abbiamo legami con loro, a parte l’architettura”.

Un accordo sul traffico frontaliero locale con la Polonia (che durò dal 2012 al 2016, consentendo agli abitanti di Kaliningrad di viaggiare senza visto nelle vicine province polacche per un massimo di trenta giorni) favorì i legami con l’Europa e contribuì a plasmare l’identità di quelli che vivevano nella regione come “europei russi”. Lentamente, le persone cominciarono a prendere coscienza del passato tedesco della loro città. “Nel 1995 Kaliningrad celebrò il suo cinquantesimo anno come città russa; ma nei primi anni duemila cadde il 750° anniversario della sua fondazione”, sottolinea Kamusella. Una guida turistica di Kaliningrad conferma: “Tutto quello che è successo qui è la nostra storia. Anche la storia della Prussia e quella del fascismo”.

Sfruttare le opportunità

Lo status di Kaliningrad come “zona economica speciale”, insieme alla sua posizione all’interno dell’Europa e a politiche fiscali liberali, trasformò la regione in una redditizia opportunità d’investimento. Alcuni prevedevano che sarebbe diventata la “Hong Kong del Baltico”. Gli investitori stranieri contribuirono a finanziare progetti di rinnovamento urbano, nonché la creazione di musei sulla storia locale, trasformando il luogo di nascita del filosofo Immanuel Kant in una destinazione turistica.

“Sono circondati dall’Europa, sarebbe stupido non pensare al commercio”, dice Maksim Mihutskij, un imprenditore bielorusso del settore informatico che abita nella città polacca di Danzica, a circa cento chilometri da Kaliningrad. In effetti molti abitanti di Kaliningrad hanno sfruttato la vicinanza all’Europa per aprire piccoli negozi in cui vendono prodotti dell’Unione europea, contribuendo alla reputazione di regione imprenditoriale. “Abbiamo tutti attività secondarie; siamo fatti così”, commenta Petja, studente di turismo a Kaliningrad (il suo nome è stato cambiato per motivi di sicurezza). Altri si sono goduti il sogno transfrontaliero: il più grande negozio Ikea della regione è a Danzica. “C’è un negozio polacco al confine. Ha alcuni dei migliori dolci, formaggi e salsicce che si possano trovare”, ricorda Petja, assorto.

Nel 2016 un sorprendente 82 per cento degli abitanti di Kaliningrad aveva il passaporto (in confronto, solo il 30 per cento dei russi ha un passaporto nel 2023). “Sono orgoglioso di essere europeo, sono orgoglioso di essere l’ultima regione della Russia che celebra il nuovo anno e sono orgoglioso del mio ‘sapore’ germanico”, dice Saša, un attivista politico di Kaliningrad (anche il suo nome è stato cambiato).

Nel 2009 e 2010 Kaliningrad scosse il Cremlino con grandi proteste antigovernative: Mosca dovette mandare un inviato speciale per sedarle. Secondo Saša, sono state le prime e ultime contestazioni su larga scala della regione. Alcune persone con cui ho parlato hanno ipotizzato che la grande presenza militare a Kaliningrad – dove si trova la flotta baltica della Russia – e il presunto afflusso di funzionari, che qui hanno comprato terreni a buon mercato, potrebbero spiegare il clima molto poco politicizzato.

Legami più stretti

Kaliningrad vide un aumento dell’impegno politico durante le manifestazioni russe del 2011–2013 (note anche come proteste di Bolotnaja, dal nome della piazza di Mosca dove si svolsero, o Rivoluzione della neve), ma il movimento fu soppresso. “Prima hanno cancellato la zona economica speciale; poi hanno smesso di provare a trasformare Kaliningrad in qualcosa di diverso da una qualunque città russa”, ricorda Jurij. “Dopo le proteste Kaliningrad non poteva più restare indipendente”.

“Noi abitanti di Kaliningrad odiamo quando i moscoviti vengono qui a farci discorsi sulla germanizzazione”, dice Saša

L’annessione illegale della Crimea da parte della Russia nel 2014 ha intensificato la repressione. Le sanzioni dell’Unione europea che sono seguite, insieme alla cancellazione dell’accordo con la Polonia nel 2016, hanno anche reso più difficile per i russi viaggiare in Europa. “Io e i miei amici abbiamo cercato di manifestare, ma sembrava una cosa patetica”, racconta Saša, parlando delle proteste che si sono diffuse in Russia nel 2017, dopo che Aleksej Navalnyj aveva denunciato che l’allora primo ministro Dmitrij Medvedev si era arricchito in modo illecito. “In strada eravamo solo dieci o venti persone. Kaliningrad non è e non sarà mai una città dell’opposizione”.

Dopo che Putin lo ha nominato governatore della regione di Kaliningrad nel 2018, Anton Alichanov ha affermato che non esisteva una “identità speciale di Kaliningrad”, sottolineando che metà della popolazione non era neanche nata nella zona. “Avere un governatore nominato da Mosca significa avere un legame più stretto con Mosca”, dice Eaton, ricordando i tempi in cui viveva a Kaliningrad e come la gente del posto parlava dei vantaggi di avere un governatore “forte” e capace di farsi ascoltare da Putin. “Vantaggi per chi? È sempre la solita questione”, aggiunge. Quando gli chiedo cosa pensa del governatore nominato da Mosca, Saša risponde: “È un brav’uomo e ha fatto molte cose per la regione. Ma sono sicuro che ruba”. Saša è stato tra i pochi a Kaliningrad che hanno protestato contro l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022. Ricorda che circa trecento persone sono scese per le strade della città, ma “nessuno prestava particolare atten­zione”.

Dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, alcuni commentatori hanno sollevato nuovamente la storica rivendicazione della Germania su Kaliningrad. In risposta Mosca ha fatto scattare l’allarme sulla cosiddetta germanizzazione (oppure occidentalizzazione), sostenendo che la Germania (o un altro paese della Nato) voleva riprendersi Kaliningrad. Il ministro degli esteri Sergej Lavrov ha insistito su questa retorica durante una visita alla città nel 2021.

Queste preoccupazioni, tuttavia, sembrano esistere solo nella mente dei politici del Cremlino. “Noi di Kaliningrad odiamo quando i moscoviti vengono qui a farci discorsi sulla germanizzazione”, dice Saša. “Non c’è stata germanizzazione, né in passato né ora. Questa è Russia, e tutti lo capiscono”.

Tomasz Kamusella sottolinea che “la Germania di oggi non ha progetti di conquista imperiale come la Russia”. Lo conferma anche Nicole Eaton: “Se a Berlino ci fosse l’idea di riprendersi Kaliningrad sarebbe rapidamente messa a tacere, soprattutto a causa delle colpe della Germania nella seconda guerra mondiale e della totale impraticabilità di annettere un’area con cui non c’è continuità territoriale e in cui vive un milione di cittadini russi. Una secessione dalla Russia, anche se per i propagandisti è una buona storia da vendere, non è un’opzione per nessuno”.

Infatti, nel contesto della guerra della Russia contro l’Ucraina, l’isolamento di Kaliningrad è solo cresciuto. Da quando a metà del 2022 la Lituania ha vietato di trasportare a Kaliningrad merci sottoposte alle sanzioni europee (una mossa che i funzionari russi hanno definito un “blocco illegale”), il padre di Saša, un camionista, non ha più trovato lavoro. Molti prodotti dell’Unione europea che una volta si trovavano facilmente, ora sugli scaffali dei negozi non ci sono più. “Ci sono scatole di succhi e generi alimentari russi di cui non ho mai sentito parlare al posto di quelli lituani”, si lamenta Saša. Altri, come Petja, non collegano questi sviluppi alla guerra in corso. “Quando è cominciata l’operazione militare speciale”, dice, usando il termine ufficiale con cui il Cremlino chiama l’invasione del 2022, “i miei amici mi hanno chiamato, preoccupati. Sono rimasto sorpreso: per noi non è cambiato nulla. Eravamo, e siamo ancora, Russia. La guerra è in Ucraina”.

Un cartello sulla porta

Tuttavia l’exclave russa non è stata risparmiata dalle ripercussioni del conflitto. Nel marzo 2022 il ministero dell’interno russo ha aggiunto due giornalisti di Kaliningrad alla sua lista di ricercati federali. L’attivista locale Igor Baryšnikov, che ha criticato la guerra sui social network, è accusato di aver diffuso “informazioni false” sull’esercito russo (il processo a Baryšnikov, che ha 64 anni, è stato rinviato a tempo indeterminato dopo il suo ricovero in ospedale a febbraio). Un abitante di Kaliningrad che ho contattato non ha voluto farsi intervistare, per paura di finire nella lista nera degli “agenti stranieri”.

Sempre nel marzo 2022 Aleksej Milovanov, giornalista di Kaliningrad ed ex caporedattore di Novyj Kaliningrad, ha trovato un cartello attaccato alla porta del suo condominio che diceva: “Qui vive un traditore” (con le lettere “Z” e “V”, che sono diventate dei simboli nella propaganda di guerra del Cremlino). Milovanov ha pubblicato una foto del cartello sul suo canale Telegram, commentando: “Banale fascismo. Mi sorprende che ci abbiano messo così tanto”.

I giornalisti di Mediazona, un sito d’informazione indipendente russo, riferiscono che circa 180 dei 18mila soldati russi morti in Ucraina provengono dalla regione di Kaliningrad. Video diffusi online di recente mostrano truppe mobilitate da Kaliningrad e da altre regioni che si rifiutano di combattere e di diventare “carne da macello”, evidenziando la triste realtà che le reclute russe devono affrontare. “Avevamo una tradizione a Kaliningrad”, spiega lo psicologo Jurij. “Chi prestava servizio nell’esercito restava solo all’interno della regione. Ora sembra che non sia più così”.

A parte le sporadiche proteste iniziali e gli arresti casuali, Saša afferma che l’atmosfera a Kaliningrad non è cambiata molto dal 24 febbraio 2022: “È come se non stesse succedendo nulla. A nessuno importa della guerra. Anche il blocco del transito verso l’Unione europea non sta influenzando l’umore. È deprimente”.

Da sapere
Blocchi e muri

Kaliningrad è una città e una regione della Russia, separata dal resto del paese. Si affaccia sul mar Baltico ed è completamente circondata dalla Lituania a nordest e dalla Polonia a sud. Si estende su 15mila chilometri quadrati e conta circa un milione di abitanti. Appartenente alla Germania con il nome di Königsberg fino al 1945, fu occupata dall’Armata rossa e in seguito fu assegnata all’Unione Sovietica.

◆Dopo l’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022, Kaliningrad si è ritrovata al centro delle tensioni tra Europa e Russia. Nel giugno 2022 la Lituania ha deciso di bloccare il transito sul suo territorio dei beni che dalla Russia arrivano a Kaliningrad in treno, per via delle sanzioni dell’Unione europea. Mosca l’ha definita una decisione “ostile”. A novembre il governo della Polonia ha autorizzato la costruzione di un muro temporaneo lungo i 210 chilometri di confine con Kaliningrad, per evitare che Mosca possa facilitare il passaggio di immigrati provenienti dal Nordafrica e dal Medio Oriente.

Treccani, Euronews


Perfino la mobilitazione russa dello scorso settembre ha provocato poche reazioni negative nella regione. Saša conosce solo una persona rimasta uccisa in azione – “ma era un mercenario” – e ha un collega che è stato chiamato il mese scorso e ora è in Ucraina. “Lui è ancora vivo e mi scrive ogni tanto”, aggiunge. Alla fine del 2022 Varsavia ha annunciato di voler costruire un muro temporaneo lungo il confine con Kaliningrad, temendo che Mosca potesse trasformare l’exclave in una rotta migratoria illegale (sulla falsariga della crisi provocata dalla Bielorussia nel 2021). “Ci è voluto così tanto per abbattere quei muri”, si rammarica Kamusella. “Certo, sappiamo perché ne stanno costruendo uno, ma come storico so anche che una volta eretto rimarrà in piedi”.

Anche per Eaton il muro “ha ripercussioni significative”: “Per molti versi è la continuazione di una tragedia che si ripete dal secolo scorso. La regione, un tempo una comunità multietnica di lingua tedesca, polacca e lituana, è stata germanizzata dai nazisti e poi russificata dai sovietici. Gli abitanti di Kaliningrad, dopo il crollo sovietico, avevano potuto riprendere grandi scambi transfrontalieri e un dialogo culturale, ma ora non è più possibile”.

Grande risorsa

Nonostante questi sviluppi, l’opinione diffusa sembra essere che Kaliningrad sia comunque più una risorsa che un peso per il Cremlino.

Nel 2018 un funzionario russo ha confermato che Mosca aveva equipaggiato la regione con missili Iskander, cioè armi con capacità nucleare in grado di raggiungere non solo i paesi baltici ma anche parti della Polonia e, in determinate circostanze, perfino Berlino. Gli esperti discutono se Kaliningrad possa effettivamente lanciare attacchi nucleari o se sia solo un altro bluff del Cremlino. “Direi con una certezza del 70 per cento che i missili nucleari ci sono. Ricordiamo tutti il patto di Varsavia e come è andato a finire”, dice Kamusella, riferendosi al fatto che durante la guerra fredda l’Unione Sovietica negava la presenza di depositi di armi nucleari nella Polonia comunista, scoperti invece dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia nel 1991.

“Finché esisteranno la Russia e la Nato, Kaliningrad sarà una spina nel fianco per la Nato e viceversa. Trovo difficile immaginare che Kaliningrad passi di mano, a meno che la guerra non si intensifichi catastroficamente a livello globale”, conclude Eaton.

Kamusella aggiunge: “Dal punto di vista strategico, Kaliningrad è una grande risorsa. Un’exclave circondata dal nemico secondo Mosca giustifica qualsiasi misura militare la Russia voglia prendere nella regione”. ◆ ab

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Questo articolo è uscito sul numero 1511 di Internazionale, a pagina 53. Compra questo numero | Abbonati