Sette anni fa Lia aveva 17 anni e le mancavano pochi mesi all’esame di maturità quando ha scoperto di essere incinta. Ha smesso di andare a scuola, ma si è comunque presentata all’esame ottenendo voti sufficienti per iscriversi ai corsi di preparazione all’università. Nonostante tutto, ha deciso di sposare il suo ragazzo, che aveva 32 anni. La madre, che è divorziata e l’ha cresciuta da sola, ha sostenuto la sua decisione. “Pensava che il matrimonio avrebbe contribuito a ‘calmarmi’”, dice Lia spiegando che, da adolescente, stava fuori fino a tardi la sera e si ribellava alla madre.

Dal punto di vista legale, Lia poteva sposarsi perché in Malaysia l’età minima per il matrimonio tra musulmani – soggetti alla sharia (diritto islamico) in base al doppio sistema legale del paese – è di 16 anni. Secondo il diritto laico, che si applica ai non musulmani (il 28,7 per cento dei 32,7 milioni di abitanti), due persone devono avere almeno diciott’anni per potersi sposare.

Oggi Lia è pentita della decisione, anche se le piace crescere suo figlio, che ha sette anni. Ha sofferto di depressione post partum e di esaurimento nei primi tempi del matrimonio. Prima che si sposassero il marito faceva vari lavoretti, ma poi ha smesso. Così, sette mesi dopo aver partorito, Lia è stata costretta a trovarsi un lavoro da commessa in un negozio di animali, dove guadagnava 900 ringgit (188 euro) al mese. “La mia fortuna è che mio padre si è occupato del bambino. Ha pagato i conti dell’ospedale e gli ha fornito le cure necessarie”, racconta. “Vorrei aver avuto l’opportunità di essere un’adolescente perché quando gli altri erano impegnati a crescere io ero a casa a fare la moglie e la madre. È stata un’esperienza terribile e sono felice di poter condividere la mia storia per aiutare altre ragazze”.

Lia ha chiesto il divorzio diciotto mesi dopo il matrimonio ed è convinta che il suo paese debba impedire per legge ai minorenni di sposarsi.

I matrimoni precoci, definiti dalle Nazioni Unite “un’unione formale tra due persone di cui una ha meno di diciott’anni”, sono accettati anche in altri paesi asiatici. L’Asia del sud ha oggi il più alto tasso di matrimoni precoci al mondo: nella regione il 45 per cento delle donne tra i venti e i 24 anni è spinto a sposarsi prima dei 18 anni, e quasi una ragazza su cinque si sposa prima di averne compiuti 15. Unioni di questo tipo sono un problema anche in Indonesia, dove il governo si è impegnato a ridurne la diffusione.

A dicembre del 2021 il ministro malese degli affari religiosi, citando il parere contrario di tredici stati e tre territori federali, ha rifiutato la proposta del ministero delle donne, della famiglia e dello sviluppo della comunità di alzare l’età minima per le nozze a diciott’anni. Poiché le questioni riguardanti i matrimoni musulmani rientrano nella giurisdizione dei governi statali, il governo federale ha dovuto rispettarne la volontà. Oggi lo stato di Selangor – il cuore commerciale del paese – è l’unico ad aver portato l’età minima del matrimonio per i musulmani a diciott’anni. Almeno altri cinque stati e tre territori federali, tra cui la capitale economica Kuala Lumpur e la sede del governo Putrajaya, hanno accettato di modificare il diritto familiare islamico. Ma gli stati più conservatori si oppongono.

Da sapere
Riaprire le scuole

◆ Secondo l’Unicef, entro la fine del decennio potrebbero esserci dieci milioni di matrimoni precoci in più nel mondo a causa della pandemia, minacciando di vanificare anni di progressi fatti per ridurne il numero. Oltre alla povertà, sul fenomeno hanno inciso la chiusura delle scuole, le gravidanze indesiderate e la morte di uno o entrambi i genitori a causa del covid-19. Anche prima del 2020, le proiezioni per il decennio parlavano di cento milioni di ragazze a rischio, nonostante la significativa diminuzione registrata nell’ultimo decennio (il 15 per cento in meno). Per correre ai ripari l’Unicef raccomanda di riaprire le scuole e garantire l’accesso ai servizi per la salute, inclusa quella riproduttiva, oltre a misure per aiutare le famiglie economicamente. Bbc


I matrimoni precoci sono un problema anche negli stati di Sabah e Sarawak, e non solo tra i musulmani ma anche nelle comunità indigene di molti gruppi etnici, ciascuno soggetto al proprio adat o diritto consuetudinario.

Tra il gennaio e il settembre del 2020, la Malaysia ha registrato 543 matrimoni precoci, se si considerano anche quelli per cui è stata fatta una richiesta formale. Gli esperti dicono che il numero è aumentato perché la povertà aggravata dalla pandemia ha spinto le famiglie a far sposare le figlie. Secondo Lee Lyn-Ni, esperta dell’Unicef in protezione dell’infanzia e impegnata in Malaysia, l’organizzazione sta collaborando con il governo federale per aumentare “la consapevolezza dei rischi e delle minacce dovuti a questo tipo di unioni”. Lee ritiene che riformare la legge sia fondamentale e che si dovrebbe fissare l’età minima per il matrimonio a diciott’anni senza eccezioni. Questo sarebbe in linea con gli impegni presi dal paese sui diritti umani e la protezione dell’infanzia firmando la convenzione sui diritti dell’infanzia (Crc) e la convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw), ratificate nel 1995. Secondo Lee il governo potrebbe anche valutare l’ipotesi di considerare reato il matrimonio precoce, ma altrettanto importante è cambiare abitudini e convenzioni. “A meno che non ci sia un cambiamento nella società, chi si oppone a questa pratica avrà sempre paura di ritorsioni”.

Educazione sessuale

Data la complessità della questione, serve la collaborazione di diversi ministeri: istruzione, sanità e politiche sociali. La gravidanza fuori dal matrimonio, per esempio, è un fattore che favorisce i matrimoni precoci. Ma anche se l’educazione alla salute riproduttiva è prevista dal programma scolastico, la mancanza di insegnanti preparati e del sostegno dei genitori impedisce di parlare adeguatamente di rapporti sessuali protetti.

In un rapporto realizzato dall’Unicef, Lee ha notato che sulla prevenzione o l’interruzione di gravidanza, anche quando permessa dalla legge, c’è stata “una discussione minima a causa di valori morali e religiosi che spesso considerano queste opzioni inaccettabili”. Anche gli aiuti economici alle famiglie a basso reddito sarebbero d’aiuto perché prevengono l’abbandono scolastico. ◆ ff

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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati