Dopo aver aspettato a lungo (The inevitable end è del 2014), il duo elettronico norvegese dei Röyksopp è tornato con un notevole concept album, anticipato da una serie di frammenti diffusi a partire dal 1 gennaio. Profound mysteries è la somma di varie parti: ognuna delle dieci tracce del disco è riconducibile a un’opera visiva creata dall’artista australiano Jonathan Zawada e a un cortometraggio, tutto accessibile online. Forse, per apprezzarlo meglio, il progetto andrebbe vissuto come un’entità audiovisiva in cui ogni brano rappresenta i due lati della stessa moneta. Ma ogni pezzo del puzzle ha senso anche da solo. Svein Berge e Torbjørn Brundtland ci accolgono con (Nothing but) ashes, un pezzo dove un piano rilassante ci conduce nel loro mondo digitale e liquido. Nei momenti non strumentali vengono usate al meglio le doti vocali delle varie collaboratrici, come Pixx e Alison Goldfrapp. Ma è con Susanne Sundfør e The mourning sun che ci ritroviamo nel punto focale del progetto: il pezzo è come una distesa ipnotica, una passeggiata meditativa attraverso una galassia sintetica. I Röyksopp si sono fatti perdonare per l’attesa e hanno concepito un universo multimediale coinvolgente e misterioso, con grande cura dei dettagli. Profound mysteries cattura l’immaginazione e c’invita a seguire il prossimo capitolo di questo viaggio: per ricominciare basta solo premere ancora “play”.
K. Macdonald-Brown, Clash

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Questo articolo è uscito sul numero 1459 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati