Nel notevole esordio di Mohammed El-Kurd, Rifqa, il poeta di Gerusalemme scrive di nostalgia: per un’infanzia ininterrotta, per la casa, per le risate. Queste nostalgie sono, ovviamente, avvolte in quell’onnipresente bruciore di liberazione che alberga nello stomaco dei palestinesi. Rifqa esplora magnificamente i modi in cui il colonialismo altera la nostra navigazione nel tempo e nello spazio: pochi chilometri di viaggio possono richiedere una vita intera, un evento che si è verificato settantatré anni fa è come se stesse accadendo per la prima volta domani, e la città da cui si è fuggiti può essere ricreata in quella in cui si atterra. Come la Nakba, la morte palestinese è continua, ma come la Nakba lo è anche la resistenza palestinese. E allora, qual è la funzione della poesia? Cosa dobbiamo dedurre da questa raccolta, che mette in discussione il suo stesso mezzo? La poesia non può costruire una casa, non può fermare una bomba. Può, però, comunicare.
Summer Farah, Los Angeles Review of Books

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Questo articolo è uscito sul numero 1488 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati