Fin dalla prima scena di Un bel mattino, Mia Hansen-Løve suggerisce un sentimento di familiarità mettendo insieme gli elementi autobiografici seminati nei suoi film precedenti: un padre professore di filosofia in pensione, genitori divorziati, la maternità e la passione viscerale per il cinema. Ma invece di far ruotare la storia intorno a un punto di non ritorno e a un’ellissi brutale, sceglie di distillare il dramma nel flusso del tempo, intrecciando in modo armonioso tre fili distinti: la malattia e la perdita di autonomia del padre Georg (Pascal Greggory), le decisioni della figlia Sandra (Léa Seydoux) e la relazione sentimentale che la donna sta vivendo con Clément (Melvil Poupaud). Il presentimento della morte o il dramma della separazione non producono una rottura temporale ma, al contrario, sono assorbiti in una sorta di continuità in cui la coscienza della perdita e l’espressione del dolore non si possono dissociare dalla riscoperta della carne e del sentimento amoroso. Mia Hansen-Løve affronta il tema della morte in modo obliquo ma con sicurezza, attraverso un susseguirsi di fragilità che la luce delle stagioni e l’assenza di enfasi proteggono dalla morbosità.
Jean-Marie Samocki, Cahiers du cinéma

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati