Un protagonista depresso rappresenta una sfida particolare per gli scrittori: come si fa a mandare avanti la storia quando la persona che ne è al centro fatica ad alzarsi dal letto? Nel suo romanzo d’esordio Nathaniel Ian Miller risolve questo problema concentrandosi sulle possibilità di trasformazione offerte dall’amicizia. Sven Ormson è presentato come un ragazzo cupo, secchione e un po’ pretenzioso che fantastica di scambiare la triste quotidianità della Stoccolma d’inizio novecento con le distese incontaminate dell’Artico, ma non ha l’energia e i mezzi per cambiare. Le sue tendenze malinconiche sono evidenti fin dall’inizio, ma Miller fornisce a Sven una serie di compagni che, in caso di necessità, sono in grado di spronarlo all’azione e di far emergere gli aspetti migliori e più allegri del suo carattere. A cominciare dalla sorella Olga, che facilita la sua partenza segnalandogli un posto di lavoro nelle miniere a Longyear City, nell’arcipelago artico delle Svalbard. Qui Sven fa amicizia con un geologo e bibliofilo scozzese, Charles MacIntyre. Dopo che un incidente in miniera lascia Sven sfigurato e quindi poco incline alla compagnia di altre persone, Mac­Intyre suggerisce di trasferirsi in un insediamento ancora più piccolo, Camp Morton, in cui Sven incontra l’amico più importante e influente di tutti: Tapio, un trapper finlandese che gli insegna a sopravvivere nel duro ambiente delle Svalbard e gli fa intraprendere la strada che seguirà per i successivi venticinque anni e che anima la parte più coinvolgente e incalzante del romanzo.
Ian McGuire, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1504 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati