Beau – un depresso senza speranza interpretato dal sempre magnifico Joaquin Phoenix – è ansioso su tutto. Sembrerebbe a ragione, a giudicare dal caos che dilaga fuori del suo appartamento. Eppure la confusione potrebbe essere tutta nella sua testa. Beau ha problemi fin da prima di nascere ed è una presenza sfuggente, in pratica il vettore ideale per l’autore di Hereditary e Midsommar. In quei due film, però, mescolando le convenzioni dell’horror e un’ambiguità da cinema d’autore, Aster rimuoveva la patina di normalità del mondo per rivelare il marcio sottostante. Mentre l’orrore e il disgusto sono in bella vista nelle tre lunghe e movimentate ore in cui seguiamo Beau. Sembra tra l’altro che Aster voglia sminuire il suo protagonista. Perciò, nonostante Joaquin Phoenix e i diversi altri motivi d’interesse, diventa difficile empatizzare con un topo che per l’autore è meno importante della sfavillante trappola pensata per catturare lui e noi.
Manohla Dargis, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati