La presenza di Luc Besson nella selezione veneziana smentisce chi ha dato per finita la sua carriera, anche se Dogman non è certo un capolavoro. Da subito il protagonista Douglas (Caleb Landry Jones) sembra un tipo bizzarro: arrestato dalla polizia del New Jersey ha un vestito rosa, una parrucca biondo platino e il trucco che gli cola giù dagli occhi, come una tragica Marilyn parente stretta di Joker. Accetta di confidarsi con una psichiatra e le racconta la sua storia, da bambino abusato ad adulto paraplegico in grado di stringere rapporti e comunicare con i cani meglio che con gli esseri umani. Nel racconto di Douglas ritroviamo tutto il cinema di Besson: eroi infantili, scenografie molto studiate, dialoghi quasi banali e un bel po’ di azione nei momenti chiave, che stavolta si arricchiscono di una sorprendente sfumatura queer. Forse il regista vuole suggerire che può sopravvivere anche dopo il #MeToo.
Marie Sauvion, Télérama

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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 73. Compra questo numero | Abbonati