Nella loro prima collaborazione i registi Alireza Khatami e Ali Asgari osservano la vita sotto la teocrazia iraniana dal punto di vista di dodici persone comuni di varie età, incorniciato da un prologo e da un epilogo. Mentre i personaggi si barcamenano in complicate situazioni legate alla repressione sociale, il film non perde un colpo. In ogni episodio, uno dei protagonisti è alle prese con figure autoritarie che diventano sempre più invadenti, anche se i registi non ce le mostrano mai: interlocutori senza volto ideali per rappresentare un sistema disumano. Nella storia di apertura un padre si sente dire che il nome che ha scelto per il figlio appena nato non va bene. È in qualche modo straziante osservare Selena, otto anni, mentre scopre che i suoi colori preferiti non sono ammessi dall’uniforme scolastica. In uno degli episodi più riusciti vediamo Farbod che deve rendere conto dei suoi tatuaggi durante l’esame per ottenere la patente di guida. Anche se con qualche ripetizione Kafka a Teheran sfida ogni tradizione imposta dall’alto, tenendo acceso un barlume di speranza.
Jihane Bousfiha, The Playlist

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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati