Il romanzo d’esordio dello sceneggiatore di Essere John Malkovich e Synecdoche, New York è divertente, estenuante e molto lungo. Leggerlo è come guardare qualcuno che cerca di arrivare in cima a una scala di Escher. Con un’inconfondibile estetica ossessivo-compulsiva, Formichità non poteva che uscire dalla testa di Charlie Kaufman. L’eroe della nostra storia è B. Rosenberger Rosenberg, un critico cinematografico sulla soglia dei cinquant’anni che, come da tradizione, è un patetico e pomposo perdente.

A nessuno interessa quello che pensa e l’unica valvola di sfogo per le sue opinioni è un blog, del tutto ignorato. In Florida B. fa amicizia con lo schivo Ingo Cutbirth, che gli mostra l’epica animazione in stop-motion che ha girato segretamente nel suo piccolo appartamento per tutta la vita. L’animazione dura tre mesi e, a parte il suo creatore, B. è l’unica persona ad averla vista. B. è elettrizzato dalla scoperta di un capolavoro che potrebbe finalmente far parlare di lui e, come Max Brod con Kafka, disobbedisce alla richiesta di Cutbirth di distruggere il film. Carica con noncuranza le migliaia di bobine e le scatole di pupazzi meticolosamente realizzati in un furgone a noleggio e si avvia verso casa, con l’intenzione di mostrare il film, scriverne e immergersi nella gloria di essere l’unico proprietario di una preziosa opera di genio. Ma B. apparentemente non sa, nonostante la sua esperienza cinematografica, cosa può succedere alle vecchie pellicole in nitrato quando sono esposte all’aria aperta. La catastrofe che ne consegue lo proietta in un viaggio terrificante nella tana del coniglio della sua mente, dove immaginazione e realtà si fondono, per affrontare infine una gigantesca formica simbolica.
Peter Bradshaw, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati