Il protagonista del Progetto Lazarus, proprio come il suo autore, è cresciuto a Sarajevo, è arrivato a Chicago in viaggio ed è stato costretto a rimanere negli Stati Uniti quando è scoppiata la guerra nella ex Jugoslavia. E tuttavia, mentre il nuovo romanzo è in qualche modo una continuazione della visione di Hemon del mondo frammentato e distorto di un immigrato, il suo narratore, Vladimir Brik, si allontana anche dai giovani ironici ma ingenui dei suoi libri precedenti. Questo è un romanzo maturo su un uomo adulto che assapora le sfumature della delusione e del fallimento. Brik è sposato con un’affermata neurochirurga americana; lui, dal canto suo, lotta con “un permanente stato di confusione”. Vive un acuto senso di perdita della sua patria e, quindi, della sua identità, e viene colpito dalla storia di un altro immigrato: Lazarus Averbuch, un giovane ebreo fuggito dal pogrom di Chișinău del 1903, oggi in Moldova, che, come lui, giunse a Chicago. Averbuch è una figura realmente esistita. Si sa che arrivò a casa del capo della polizia di Chicago il 2 marzo 1908; ci fu una specie di colluttazione e il giovane finì ucciso. Chicago sprofondava in uno stato di isteria xenofoba e i parallelismi con le conseguenze dell’11 settembre 2001 sono chiari mentre Hemon alterna la storia di Lazarus con il tentativo di Brik di raccontarla. Alla fine di questo romanzo crudo e inquietante, Brik si rende conto che, essendo anche lui una sorta di Lazarus, deve scrivere la sua stessa storia.
Cathleen Schine, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 91. Compra questo numero | Abbonati