“Per capire come gli Stati Uniti si stiano preparando al loro futuro nucleare, bisogna seguire gli studenti di quinta elementare della Preston veterans’ memorial school di Preston, in Connecticut”, scrive W.J. Hennigan in un lungo articolo sul New York Times che racconta i progetti del paese per espandere il suo arsenale atomico. “Uno alla volta, i bambini prendono posto per seguire un corso di sei settimane tenuto dalla General Dynamics, azienda appaltatrice del dipartimento della difesa. ‘Qualcuno sa perché siamo qui?’, chiede un rappresentante dell’azienda. Adalie, dieci anni, alza la mano: ‘Perché state costruendo sottomarini e avete bisogno di persone, e ce lo state insegnando nel caso fossimo interessati a lavorare qui quando saremo più grandi’”.
Adalie ha colto il punto. Il Pentagono ha ordinato alla General Dynamics e ad altre aziende di produrre nuovi sistemi di difesa che sostituiscano gli attuali, in buona parte vecchi e superati, e i costruttori faticano a trovare le decine di migliaia di lavoratori che servirebbero.
Nuovi sottomarini
Il lavoro di reclutamento nelle scuole mostra uno dei tanti problemi dei piani degli Stati Uniti per conservare la superiorità militare nella nuova era delle armi nucleari. “Con la Russia in guerra, la Cina che diventa più aggressiva nelle dispute regionali e nazioni come la Corea del Nord e l’Iran che portano avanti i loro programmi nucleari, Washington è pronta a spendere circa 1.700 miliardi di dollari in trent’anni per rinnovare il proprio arsenale. La spesa, che il governo ha cominciato a pianificare nel 2010, tocca almeno 23 stati, quasi cinquanta se si includono i subappaltatori. Oltre ai sottomarini, ha commissionato una nuova flotta di bombardieri, missili terrestri e testate termonucleari. Sommando tutte le spese, il conto arriva a quasi 57 miliardi di dollari all’anno, cioè 108mila dollari al minuto per trent’anni”.
In un periodo in cui le spese del governo federale sono diventate un terreno di scontro tra i partiti – sulla crisi climatica, sull’immigrazione irregolare e sugli aiuti militari a paesi alleati – non c’è nessun dibattito su questo costosissimo piano e molti statunitensi non ne hanno mai sentito parlare. Hennigan ha viaggiato per sei mesi in tutti gli Stati Uniti, intervistato centinaia di lavoratori, funzionari governativi, attivisti e persone che vivono nei posti dove si costruiscono le armi. Si è convinto che il paese stia ipotecando il futuro per finanziare una pericolosa nuova corsa agli armamenti che nessuno potrà mai vincere.
Il tassello più importante del riarmo statunitense sono i sottomarini nucleari con missili balistici, perché danno la garanzia che le forze armate possano rispondere nel caso in cui il paese venga attaccato. Oggi gli Stati Uniti ne hanno quattordici attivi in giro per il mondo. Hanno un’età media di quarant’anni, tanti per un sottomarino, e si basano su una tecnologia precedente alla rivoluzione dei personal computer. Washington pensa di recuperare il terreno perso negli ultimi anni rispetto alla Cina, che ha la forza navale più grande e più avanzata, grazie ai sottomarini della classe Columbia. “Sono in costruzione nella baia di Narragansett, saranno i più grandi mai costruiti dagli Stati Uniti (lunghi 170 metri e con un diametro di 13 metri) e saranno anche i più costosi, con una media di 11 miliardi di dollari per ciascuno”. Il primo dovrebbe entrare in funzione entro la fine del decennio, ma dopo quattro anni di lavoro ha già sforato il budget a causa di una serie di problemi di forniture, progettazione e carenza di manodopera.
Lavori in ritardo
Le strutture strategiche di altre zone del paese hanno problemi simili. Come il complesso Y-12 di Oak Ridge, in Tennessee, dove si lavora l’uranio usato per tutte le armi atomiche statunitensi. Il sito è stato in declino per anni dopo la fine della guerra fredda e oggi il governo vuole ristrutturarlo con dieci miliardi di dollari. In realtà i lavori sono molto indietro sulla tabella di marcia e il progetto è già costato quattro miliardi più del previsto, a causa di intoppi nelle forniture e di errori commessi dagli appaltatori (a un certo punto, per esempio, ci si è accorti che un’azienda aveva progettato male il tetto dell’edificio per la lavorazione dell’uranio, e sistemarlo è costato 540 milioni di dollari).
“Nel novecento c’è voluto molto tempo prima che le grandi potenze si rendessero conto dei pericoli della corsa agli armamenti e cominciassero a ridurre i loro arsenali nucleari”, scrive Hennigan. “Ora tutti i progressi compiuti negli ultimi quarant’anni sono a rischio. Invece di fare nuovi accordi sul controllo degli armamenti, si stracciano quelli esistenti”. È innegabile, conclude il giornalista, che il mondo stia diventando più conflittuale e che le armi nucleari siano un deterrente per gli avversari degli Stati Uniti. “Ma è anche vero che i nostri figli erediteranno tutto questo: la rivitalizzazione del complesso nucleare a livello nazionale, la spesa fuori controllo, il rischio di conflitti su vasta scala. Più di dieci anni fa il congresso statunitense ha deciso che il paese aveva bisogno di nuove armi. Ma è chiaro, dopo aver visitato questi luoghi, che i cittadini non ne hanno bisogno”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati