Israele è entrato nella seconda fase della sua guerra a Gaza, in cui tenterà di completare la conquista del nord della Striscia fino al corridoio Netzarim. Possiamo prevedere che quest’area sarà gradualmente messa a disposizione per gli insediamenti ebraici o l’annessione a Israele, a seconda di quale sarà il livello d’indignazione internazionale che queste iniziative potrebbero suscitare. In ogni caso, gli abitanti palestinesi che rimangono nel nord della Striscia saranno espulsi, come ha lasciato intendere il generale Giora Eiland, facendogli soffrire la fame e con la scusa di “proteggere la loro vita” mentre l’esercito israeliano darà la caccia ai miliziani di Hamas in quell’area.
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu probabilmente sta sognando quello che i suoi sostenitori giudicheranno un grande successo: l’espansione del territorio di Israele per la prima volta dopo cinquant’anni di ritirata, cominciata con gli accordi di disimpegno dopo la guerra del Kippur del 1973. La maggior parte dei suoi predecessori, come lui, ha ceduto territori, e ora è giunto il momento d’invertire questa tendenza e procedere verso l’espansione. Sarà questa la sua “vittoria totale”, la sua “risposta sionista” al massacro del 7 ottobre 2023, ai rapimenti, alla terribile umiliazione inflitta a Israele e al suo esercito dai palestinesi e dai libanesi.
Dichiarazione burocratica
In questa prospettiva, che ormai il governo di destra israeliano non si preoccupa più di nascondere, i palestinesi del nord di Gaza andranno incontro allo stesso destino degli armeni che un anno fa sono stati espulsi dal Nagorno-Karabakh, da un giorno all’altro, con una decisione improvvisa del presidente azero Ilham Aliyev, stretto alleato di Israele. “Il mondo” ha visto ed è andato avanti: centomila profughi sono ancora alla deriva in Armenia, che non ha fretta di integrarli. In modo simile, gli abitanti espulsi dal nord di Gaza andranno ad accalcarsi con i rifugiati della prima fase della guerra nella “enclave umanitaria” nel sud del territorio.
A dare inizio a questa nuova fase della guerra non è stata una manovra militare o un’audace incursione nel territorio nemico. È stata invece una dichiarazione burocratica del 28 agosto che annunciava la nomina del colonnello Elad Goren a capo delle attività civili-umanitarie a Gaza all’interno dell’unità di coordinamento delle attività governative nei territori. Questo lungo titolo, un fardello che Goren porterà fin quando non si troverà un adeguato acronimo militare, è l’equivalente del capo dell’amministrazione civile in Cisgiordania e dovrebbe più propriamente essere indicato come “governatore di Gaza”. Si tratta di una reincarnazione contemporanea del generale Moshe Goren, che svolse questa funzione dopo l’occupazione di Gaza durante la guerra dei sei giorni del 1967.
Un altro inverno
La mossa successiva è stato l’ordine dato all’inizio di settembre da Netanyahu all’esercito di prepararsi a distribuire aiuti a Gaza, sostituendosi alle organizzazioni internazionali. Il capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Herzl Halevi, ha protestato, avvertendo dei pericoli per i soldati e dei costi elevati. Ma, per quanto ne sappiamo, Netanyahu non si è lasciato convincere e sta mantenendo la sua posizione. Il motivo è ovvio: chi distribuisce viveri e medicine avrà le mani sull’interruttore generale. Strada facendo, Israele avrà l’opportunità di cancellare una volta per tutte da Gaza l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi, che la destra considera un progetto anti-sionista.
Nel frattempo Hamas continuerà a governare l’area che va dal corridoio Netzarim al corridoio Filadelfi a sud, circondato e assediato da Israele, che avrà ormai preso il controllo della distribuzione degli aiuti. Questo è il significato della dichiarazione di Netanyahu in cui avvertiva che il confine tra Gaza e l’Egitto (il corridoio Filadelfi) resterà sotto il controllo israeliano. In una situazione simile Netanyahu e i suoi alleati sperano che dopo un altro inverno nelle tende e senza servizi di base i due milioni di palestinesi ammassati a Rafah, Khan Yunis e Al Mawasi si convinceranno di non poter tornare alle loro case distrutte. Di conseguenza, la disperazione dovrebbe alimentare l’insofferenza per il regime oppressivo del leader di Hamas nella Striscia, Yahya Sinwar, e incoraggiare molti di loro a lasciare del tutto il territorio palestinese.
La rinuncia di Netanyahu a ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani e la sua decisione di ignorare la volontà dell’opinione pubblica, abbandonando quelle persone a terribili torture e alla morte nei tunnel di Hamas, sono un modo per rovesciare la situazione a sfavore di Sinwar: invece di essere una risorsa che Hamas può sfruttare per ottenere concessioni da Israele, gli ostaggi diventeranno un peso per i palestinesi, continuando a dare a Israele una giustificazione per portare avanti la guerra, l’assedio e l’occupazione.
Così Israele è entrata nella seconda fase della sua guerra contro Hamas. ◆ fdl
◆ In un editoriale sul quotidiano panarabo Al Araby Al Jadid, Maen al Bayari denuncia “l’anno dello sterminio che ha messo a nudo la politica dei paesi arabi”. Al Bayari accusa gli stati della regione di aver criticato l’operazione israeliana nella Striscia di Gaza senza però aver preso nessuna iniziativa diplomatica. “Mettendosi nei panni del primo ministro Benjamin Netanyahu viene subito da chiedersi: perché dovrebbe fermarsi? Nessuno lo spinge a farlo”. L’Egitto e la Giordania potevano mettere in discussione i loro trattati di pace con Israele, mentre Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Marocco potevano ripudiare gli accordi con un paese “il cui primo ministro è accusato di aver commesso crimini di guerra”. La scelta di non farlo rivela “la loro incapacità e mancanza di volontà di agire per la Striscia di Gaza e la Cisgiordania”. In particolare Al Bayari ricorda che il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi si è espresso contro “la deportazione degli abitanti di Gaza” solo quando ha avvertito il rischio che potessero riversarsi nel suo paese.
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Questo articolo è uscito sul numero 1584 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati