…tutte le calamità, le disgrazie e le malattie si riversarono all’improvviso e afflissero l’intera razza umana. Pandora, spaventata, chiuse rapidamente il coperchio, ma quella rimasta nel vaso era solo una speranza.

Storia della letteratura greca antica

“C’è un gatto nel cortile, somiglia a Hitler, ha gli stessi baffetti. Lo chiameremo Putin”.

Una volta al giorno passa un aereo. Vicino al suolo. È uno dei nostri. Nadežda salta fuori dalla sua stanza. “Non viene verso di noi, vero?”. Non riusciamo ad abituarci.

“C’è una cantina qui? È profonda? E solida?”.

Nadežda ha aspettato di avere dieci anni per vedere un film horror. Molti suoi amici avevano già visto Night­mare – Dal profondo della notte. Uno aveva perfino visto Tusk. Un altro Raw – Una cruda verità. Io prendevo tempo. Le avevo allungato Ghostbusters e Gremlins, non dei veri film dell’orrore. Lei non era soddisfatta.

Il 17 febbraio 2022 Nadežda ha compiuto dieci anni. Il 19 ha festeggiato con gli amici al delfinario, e ne ha parlato per qualche giorno. Il 24 è cominciata la guerra.

Dopo aver passato un mese sotto i bombardamenti a Charkiv, ci siamo spostati a Poltava. E Nadežda è tornata a chiedermi di vedere i film horror. Insisteva. Ormai si poteva fare, ho deciso. Abbiamo visto The ring, ma abbiamo scoperto che non faceva paura. The ring 2 si è rivelato ancora più deludente. In segreto, a mia insaputa, ha visto Pet sematary – Cimitero vivente, che le avevo descritto come il più terrificante film horror della mia infanzia. Non le ha fatto paura.

Abbiamo steso un elenco. Ho cercato di ricordarmi qualche titolo: L’ululato, The video dead, Hell­raiser, L’esorcista, Shining, Wrong turn, Venerdì 13, Scream. E altri trenta film horror. Temo che anche questi non le faranno impressione. Non ho niente da offrirle. Il tempo degli orrori è già alle nostre spalle.

Ora guardiamo i cartoni animati su Netflix. Il mostro dei mari. Anche la bambina del cartone ha dieci anni. È una bambina pirata. Gli arpioni volano come razzi. Le pistole come giavellotti. Del capitano che è partito per la guerra, Nadežda dice: “Come Putin”. Tutti i cartoni probabilmente saranno come questo, ora.

Il cinema non colpisce più neanche me. Prima della guerra guardavo delle serie tv tutti i giorni. Quelle buone. Mi vantavo di seguire quello che succedeva, di essere informato su tutte le novità. Condividevo le mie idee con gli amici appassionati come me. Recensivo le serie su riviste patinate.

Ho smesso di guardarle. Con l’arrivo della guerra, film e programmi tv hanno perso il loro fascino. Mia moglie si è abbonata a Netflix. Ci ho cercato a lungo qualcosa. Tutto inutile. La stagione finale di Better call Saul è buona, ma non mi ha preso. Ho cominciato e abbandonato 1883, il prequel di Yellowstone. Non ho più seguito neanche una serie. Invece dei film ci sono i news­feed. Ma in questi – come dice mia madre – quelli sullo schermo siamo noi.

Leggo un newsfeed, racconto a Nadežda di un gioco in cui i bambini sono premiati per la geolocalizzazione. Le chiedo: ti è capitato di farlo? Lei aveva fatto un’altra cosa. Su Instagram le avevano offerto cento dollari per la geolocalizzazione dei nostri siti militari. Lei aveva mandato la geolocalizzazione della piazza Rossa. Le avevano risposto: “Resta in attesa”. Non l’avevano mai pagata.

Nadežda lava le auto nel parcheggio accanto al supermercato. Quanto si paga? Una ventina di grivnie, mezzo euro.

“Molte ragazzine del nostro cortile lo fanno”.

Non so cosa pensarne. La guerra ha cambiato tutto. Nadežda compresa. È cresciuta in fretta.

Gli abitanti del posto insegnano ai bambini a vivere e basta, senza avere paura degli aeroplani e degli allarmi aerei, mentre gli sfollati hanno i loro conti personali da regolare con Putin. Si mescola meravigliosamente tutto insieme.

È tornata la challenge Balena blu. Cinquanta prove, l’ultima delle quali è il suicidio. La prima: disegnati un cuore sul polso con una penna rossa. La seconda: disegna una balena blu su un pezzo di carta. La terza: disegnatela su una gamba. La quarta: smetti di comunicare con tutti. La quinta: corri intorno a casa tua molte volte. La decima: inciditi una balena blu sulla mano con una lametta. La trentanovesima: attraversa di corsa la strada davanti a un’auto. Tutto viene filmato e i video devono essere mandati a Balena blu su Telegram alle 4.20 del mattino. Non è un’ora opportuna. Alle 4.20 del mattino le persone stanno dormendo oppure c’è un allarme aereo. I bambini scrivono alla Balena blu: “Di’ ‘slava Ukraini’! Gloria all’Ucraina!”. La Balena blu non risponde. Nel 2018 era su un social network russo.

Chiedo se i bambini giocano alla guerra in cortile, come facevamo noi quando eravamo piccoli. Chiedo se in questi giochi fanno “noi contro i russi”. Nella mia infanzia era “noi contro i tedeschi”.

Facciamo disegni sui palloncini rimasti dopo una festa. Disegniamo le emozioni: paura, tristezza, felicità. Nadežda se la cava bene per un po’. Rendo il gioco più complicato: insicurezza, indifferenza. Lei ci pensa su e trova una soluzione.

Penso a un’altra emozione.

“Pacificazione”.

Lei riflette a lungo, poi, rapidamente, disegna una lepre con le croci sugli occhi e una cosa tipo un barattolo tra le zampe.

“…?”.

“È morta di marmellata!”.

Nadežda ha sognato di nuovo che la guerra era finita. Questa volta era stato Zelenskyj a darle la notizia. Era venuto lui, di persona.

“Ha aperto la porta e l’ha detto”.

“Ma la porta non era chiusa a chiave?”.

“Ti ricordi quando ho sognato che Lenočka veniva a trovarci? E lei è venuta proprio quel giorno?”.

“Avevi anche già sognato che la guerra era finita”.

“Ma quella volta non era venuto Zelenskyj”.

“Nadežda, hanno distrutto il Focolare”.

“…!”.

“Il liceo”.

Voleva dire: peccato che non hanno distrutto la mia scuola, la scuola elementare. Ma era solo un modo di scherzare. La realtà è: “Salve Irina Ivanovna! Grazie infinite per questi quattro anni di scuola! Lei era la maestra più brava del mondo! Spiegava tutto così bene! Lei è stata sempre la maestra più simpatica! Grazie mille per quello che ci ha insegnato e per questi anni! Sento tanto la sua mancanza e spero davvero che ci vedremo dopo la guerra!”.

La scuola sono le maestre. Irina Ivanovna non ha più una casa. La sua è stata bombardata. Sta da un’amica a Kiev.

“Buongiorno, ragazzi! Ci vediamo online ogni lunedì alle 11, per tutta l’estate. E ci racconteremo come stiamo e cosa ci succede. Ok?”.

A Nadežda non è mai piaciuto leggere. Dobbiamo trattare. Scegliamo cosa potrebbe piacerle. Non questo libro, non quest’altro. E neanche questo.

“Quale allora?”.

“I libri interessanti sono rimasti a Charkiv”.

In famiglia parliamo russo. Parliamo tutti russo. Ho sentito che in cortile parlano in ucraino.

“Be’, parlano in russo-ucraino. In suržik”.

Mi ha chiesto di darle un libro in ucraino. Lo sta leggendo.

La nonna di Nadežda le ha dato una scatola di caviale rosso.

“Sììì!”.

È da tanto tempo che non mangia caviale.

“Mi ricorda Charkiv”.

Le mancano i giocattoli che ha lasciato a Charkiv. Sua nonna gliene ha portato uno, uno squalo dell’Ikea.

Lei ha abbracciato lo squalo e lo ha annusato.

“Odora di Charkiv”, dice.

La notte scorsa c’è stato un altro attacco missilistico. Hanno postato su Telegram il video di un missile in volo. Quando l’ha visto, Nadežda ci ha detto che il 24 febbraio, la sera in cui abbiamo attraversato tutta la città per andare dove vive sua nonna, lei aveva visto un missile come quello che volava sopra di noi. Noi non l’avevamo visto. E finora Nadežda non ne aveva mai parlato, si era costretta a dimenticarlo.

Quando torneremo a casa, tutte le sue cose dovranno essere buttate o date via. È cresciuta. Anche le cose nuove che le hanno regalato per le feste e per il suo compleanno, il 17 febbraio. Una settimana dopo abbiamo lasciato casa nostra portando con noi poco o niente: i documenti, una scatola con un gatto. Credevamo che saremmo tornati dopo un paio di giorni, che tutto sarebbe finito.

Su Telegram c’è la storia di un micetto morto. Era sdraiato sul letto di un bambino. Quarantacinque giorni senza i suoi padroni. E una foto. Almeno Nadežda non ha visto la foto.

“Abbiamo fatto bene a prendere Lotta”.

E a Lotta: “Noi non ti abbandoneremo mai”.

Io penso: “Abbiamo fatto bene a portarti via da lì”.

“Quattrocentottanta bambini sono stati uccisi in Ucraina dall’inizio dell’invasione vera e propria”, ci dicono i mezzi d’informazione.

Il gatto si chiama Lotta in onore di Lotta Combinaguai. Il libro di Astrid Lindgren è rimasto a casa. Io non l’ho mai letto. Non ha fatto parte della mia infanzia. Avevamo libri diversi allora, film diversi. Ora gli eroi della mia infanzia si sono rivoltati contro di me, perché le stelle di quei film si dichiarano a favore della guerra contro l’Ucraina. L’ha fatto Cappucetto Rosso. Anche Elektronik. D’Artagnan. Nadežda ha film diversi, libri diversi. Non sarà costretta a rompere con gli eroi morti delle favole. La sua infanzia non la tradirà.

Un bambino ha un’esperienza della vita limitata. Lei si sta formando proprio ora e, scopro, è la guerra a formarla. Nadežda è cambiata tanto in un anno di guerra, è cresciuta molto in fretta. Si è trasformata da bambina in adolescente. Con la guerra tutti i bambini ucraini sono maturati tanto.

Tutto parla della guerra. Un bambino sta mangiando il kebab. Sulla confezione c’è scritto “per mamma”, “per papà” o “per le forze armate dell’Ucraina” e l’indicazione di quanto bisogna mangiarne per chi. Il kebab è buono.

Per il compleanno della mamma Nadežda ha creato un’installazione. Lena le aveva detto cosa voleva in regalo: “La testa di Putin”. Materiali: pasta di sale, gouache, pelo di gatto pettinato. Una bandiera ucraina – un bastoncino di plastica - infilato nelle orecchie. La faccia di Putin ha uno sguardo sorpreso. Somiglia moltissimo a Putin.

Nadežda ha dipinto un quadro. Ha comprato la tela in un discount, l’ha pagata cento grivnie, circa due euro e mezzo. Gli angoli sono rovinati. Nuova ne sarebbe costata 150. Un regalo per Larisa, la proprietaria dell’appartamento. Un paesaggio senza persone, solo alberi. Querce, cespugli. Molto realistico. Nuvole molto realistiche. Un cielo azzurro. Un’altalena che sembra un fantasma, una strada e qualcos’altro di associato agli uomini. I colori probabilmente stavano finendo. In un angolo ha firmato il quadro. Ha scritto Nadežda e l’anno, 2022.

“Papà? Papà, in primavera spegneranno le luci?”.

“No, hanno detto che è finita, che la situazione è sotto controllo. Anche se qui c’è di mezzo la Russia, quindi s’inventeranno qualche altro sporco trucco”.

“Lo so. Ma dobbiamo essere contenti di qual­cosa”.

Sì, sì, sì. I bambini devono essere contenti di qualcosa. I bambini e i gatti, i personaggi centrali di tutta la nostra storia. Per me. Gli anziani sono testardi, gli adulti si agitano, i bambini e i gatti accettano tutto com’è, assorbendolo nel loro sistema di vita.

Fotografie di Charkiv. Nella finestra di qualcuno c’è un’icona, nella finestra di qualcun altro sono incollate le parole “ANDATE A FARE IN CULO”. Più spesso non ci sono finestre, sono coperte di compensato.

Io sono calmo. Prima della guerra tutto m’innervosiva. Le conferenze. I viaggi. Il lavoro. Nella rivista Charkiv. Dove, Quando, Cosa riadattavano i miei testi. Io diventavo furibondo. Restavo agitato per giorni, settimane. Volevo giustizia e vendetta. Il giorno prima di una conferenza, cominciavo a sentirmi in ansia. Un’ora prima della conferenza tremavo tutto, mi saliva la pressione, mi girava la testa e avevo la nausea.

Un mese sotto i bombardamenti mi ha curato. Ero stordito, terrorizzato, poi la paura si è placata. Oggi non mi preoccupo affatto per queste cose. Mi preoccupo per i miei genitori, i problemi di lavoro non mi toccano. Tengo conferenze in ucraino, improvvisando ogni frase. In un suržik terribile. Non mi dà fastidio. Le mie conferenze in russo, i fogli di carta sono rimasti a casa. Io sono qui, sono sopravvissuto, non m’interessano né il futuro né i soldi. L’università non mi ha pagato le ferie, mi ha imposto il part-time, mi ha dato lo stipendio solo di mezzo settembre, mi ha obbligato ad andare in vacanza senza paga. Per me fa lo stesso. Ho cercato d’indignarmi, di farmi salire la rabbia, ma non m’interessa. Solo vivere m’interessa. Mi godo la gatta, che si gode me e fa le fusa. Anche lei è stata a lungo stordita, incapace di mangiare e socializzare. Mi piace camminare per strada, vedere le persone. Mia figlia sta crescendo, si è tinta i capelli e li ha tagliati corti. Somiglia ad Alisa in Ospite dal futuro (“Alisa, il futuro sarà divertente?”. “Certo, sarà una figata pazzesca!”). Mi godo l’idea di essere ancora vivo. A Nadežda piace la scuola, le piacciono le lezioni, anche se non vuole ammetterlo. Ascolto le sue risposte dalla stanza accanto, vedo come prepara le diverse materie.

Per compito ha dovuto scrivere una storia in ucraino:

Un giorno la città, e lo stato dove si trovava la città, furono attaccati da un paese vicino. Il paese vicino lanciò missili, sparò dai carri armati, bombardò dagli aerei. E tutti i bambini della città furono costretti a scendere nei sottoscala e nelle cantine. Ci rimasero per una settimana, due settimane, tre settimane, un mese e più. Senza sole e senza poter giocare all’aperto diventarono sempre più tristi e non volevano parlare con nessuno. Né con i genitori né con i loro amici. Ma ogni bambino aveva un gatto. Pelosi, morbidi, i gatti facevano le fusa ai bambini e li tranquillizzavano. I bambini parlavano solo ai gatti. Quando la guerra finì e i bambini uscirono dalle cantine, si scoprì che ogni bambino aveva un gatto che lo aveva salvato. In città lo scoprirono tutti e costruirono un monumento ai gatti, misero ciotole dappertutto e ogni mattina ci versavano il latte. Da allora la tradizione è stata conservata e i gatti sono rispettati da tutti.

La gatta mi mordicchia la mano, vuole giocare. E io ci gioco. ◆ gc

Andrej Krasnjaščich è uno scrittore ucraino. Insegna al dipartimento di storia della letteratura straniera e filologia classica dell’università nazionale Karazin di Charkiv, in Ucraina. Questo racconto è uscito su Eurozine con il titolo Nadežda, or hope.

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Questo articolo è uscito sul numero 1550 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati