Il 25 febbraio, ventiquattr’ore dopo l’ordine d’invadere l’Ucraina impartito dal presidente Vladimir Putin, i soldati russi sono arrivati alle porte di Kiev. Anche considerando la netta superiorità delle forze russe, l’iniziale rapidità dell’avanzata militare è stata sorprendente. È il segno che la campagna del Cremlino contro l’Ucraina è stata guidata dall’esercito. L’offensiva non è stata gestita dal Servizio federale per la sicurezza (Fsb), i servizi d’intelligence russi, ma è stata preparata seguendo il vecchio modello militare: la Russia ha ammassato le truppe al confine e poi ha sfruttato quella forza in modo rapido.
Assegnando all’esercito un ruolo così decisivo, Putin ha consolidato un cambiamento radicale in corso da un decennio nella gerarchia del Cremlino. Fino a qualche anno fa l’esercito non era coinvolto nelle decisioni politiche russe ed era subordinato ai servizi di sicurezza, di cui Putin ha fatto parte. Negli ultimi anni, invece, le forze armate hanno conquistato un’importanza maggiore, non solo nei rapporti tra la Russia e i paesi vicini, ma anche nella politica interna. In passato molti russi ritenevano che l’apparato militare fosse arretrato, mal gestito e poco finanziato, mentre oggi l’esercito è equipaggiato con tecnologie di ultima generazione ed è sostenuto da un sistema militare e industriale sempre più presente nella società russa. Con il nuovo peso politico, l’esercito è un’importante istituzione della Russia di Putin.
A guidare questa trasformazione c’è una delle persone più ambiziose della cerchia ristretta del presidente russo: Sergej Šojgu. Nonostante sia stato poco considerato in occidente, da tempo Šojgu è un personaggio importante al Cremlino ed è ministro della difesa dal 2012. Mentre i servizi di sicurezza russi negli ultimi anni hanno incassato varie sconfitte, l’esercito guidato da Šojgu ha ottenuto una serie di successi, a cominciare dall’annessione della Crimea nel 2014 e dall’intervento in Siria nel 2015. Per capire come mai Putin fosse pronto a rischiare truppe, carri armati e aerei nell’invasione dell’Ucraina si deve tener conto della trasformazione delle forze armate russe voluta dal potente ministro della difesa.
Scarso prestigio
Per due secoli l’esercito russo, nonostante la sua importanza nella società, è stato poco coinvolto nelle decisioni politiche. Durante l’epoca sovietica le strade di alcuni quartieri di Mosca e di altre grandi città erano dominate dagli uomini in uniforme verde e il servizio militare garantiva prestigio sociale. Inoltre, negli ultimi decenni di vita dell’Unione Sovietica il Cremlino aveva incoraggiato il mito delle forze armate costruito intorno all’eroica vittoria della Russia contro il terzo reich nella seconda guerra mondiale. Eppure, per gran parte dell’ottocento e del novecento, l’esercito non aveva partecipato più di tanto all’attività del governo. L’ultima occasione in cui aveva assunto una posizione indipendente era stata probabilmente nel 1825, durante la fallimentare rivolta degli ufficiali della guardia imperiale contro lo zar, in cui alcuni reggimenti d’élite avevano cercato di innescare una rivoluzione. Nell’epoca sovietica il governo sapeva che un esercito con troppo potere era un rischio, e il servizio segreto Kgb teneva attentamente d’occhio l’apparato militare.
Putin, ex ufficiale del Kgb, una volta conquistato il potere ha confermato la tradizione sovietica, dando più importanza ai servizi di sicurezza rispetto all’esercito. La guerra in Cecenia del 1999 è stata gestita dall’Fsb, che quattro anni prima aveva preso il posto del Kgb. Il conflitto era stato presentato come un’operazione contro il terrorismo e l’esercito era subordinato ai servizi di sicurezza. Putin ha poi continuato ad affidarsi all’Fsb per tenere sotto controllo le élite e reprimere il dissenso, sia in Russia sia all’estero.
Invece i militari avevano poco prestigio. Nei primi anni del dominio di Putin i russi ricordavano ancora il disastro in Afghanistan e le due guerre sanguinose e caotiche in Cecenia, combattute con equipaggiamenti di epoca sovietica. I giovani cercavano in ogni modo di evitare l’arruolamento. Per questo molti analisti occidentali non si sono dedicati con attenzione allo studio dell’esercito russo, convinti che per capire Putin fosse meglio studiare i meccanismi interni dei servizi di sicurezza. Ma nel 2012 Šojgu è stato nominato ministro della difesa e l’importanza dell’esercito ha lentamente cominciato ad aumentare.
Šojgu è stato a lungo ai livelli più alti della politica moscovita. Arrivato a Mosca da Tuva (repubblica ai confini con la Mongolia) in tempo per assistere alla disgregazione dell’Unione Sovietica, all’inizio degli anni novanta ha bruciato le tappe affermandosi grazie all’abilità nel risolvere problemi e diventando il ministro delle situazioni d’emergenza, una carica creata da lui.
Negli anni novanta e nel decennio successivo, si è costruito l’immagine del funzionario coraggioso e pieno di energia: visitava in prima persona i luoghi dei disastri naturali o degli attacchi terroristici con una squadra speciale di soccorso, e in alcune occasioni guidando di persona le operazioni. All’epoca era raro che un componente dell’élite post-sovietica si presentasse in uniforme per parlare con le vittime di un’alluvione in Siberia o di un’esplosione a Mosca. La squadra speciale di soccorso – guidata da un’unità aerea composta da professionisti sempre pronti a decollare per raggiungere qualsiasi area del mondo – ha rafforzato la popolarità di Šojgu ai vertici del governo e tra le persone comuni.
I successi e il fatto che fosse stimato dall’opinione pubblica lo hanno reso un alleato naturale per Putin, che gli ha dato subito un ruolo molto più ampio della gestione delle emergenze. Nel 1999 il presidente lo ha indicato come uno dei leader del suo partito, Russia unita, dandogli l’occasione di viaggiare per il paese e di costruirsi una base politica. Ma il vero colpo di scena è stata la nomina nel 2012 a ministro della difesa. Šojgu, laureato in ingegneria, non aveva mai prestato servizio nell’esercito e non aveva alcuna reputazione all’interno della gerarchia militare. Tra l’altro il suo stile diretto non era molto apprezzato dalla vecchia guardia.
L’azione in Crimea
Secondo alcune fonti dell’esercito, Šojgu era da poco ministro della difesa quando un giorno, mentre percorreva i corridoi del quartier generale dello stato maggiore a Mosca, notò un colonnello che aveva un vestito grigio. In base alla vecchia tradizione gli ufficiali dello stato maggiore indossavano abiti civili, ma quel particolare irritò Šojgu, convinto che dovessero essere vestiti per la battaglia e non per il lavoro d’ufficio. Il ministro disse al colonnello di presentarsi la settimana successiva presso un reggimento in Siberia. L’ufficiale fu salvato dalle sue conoscenze, ma tutti recepirono il messaggio. Šojgu non si è limitato a quel primo gesto. Nel 2017 ha modificato le uniformi dell’esercito rendendole simili a quelle sovietiche del 1945 (conosciute tra i militari come uniformi dei vincitori).
Più importante dei dettagli estetici è l’approccio di Šojgu alla strategia militare. Il ministro ha intrapreso la strada dell’innovazione tecnologica, creando un ciber-commando e formando le Forze aerospaziali russe, nate dall’unione di quelle aeree e spaziali. Inoltre ha aumentato gli stipendi del corpo ufficiali e ha fatto in modo che per i russi sia quasi impossibile evitare il servizio militare. Nei primi anni al ministero ha ottenuto due successi che hanno rafforzato il nuovo status dell’esercito all’interno del governo.
Nel 2014, quando a Kiev il movimento Euromaidan chiedeva le dimissioni del presidente filorusso Viktor Janukovyč, Putin ha inviato nella città i servizi di sicurezza per aiutare le forze locali a reprimere la rivolta. Ma l’Fsb non è riuscito a fermare i manifestanti né a evitare la fuga di Janukovyč dalla capitale. Così il presidente russo si è rivolto all’esercito. Sotto il comando di Šojgu, la Crimea è stata annessa velocemente.
Il ministro ha dimostrato che l’esercito poteva avere successo lì dove l’Fsb aveva fallito. Nella fase iniziale della guerra civile in Siria (paese alleato della Russia), il dittatore Bashar al Assad sembrava perdere terreno rapidamente, e i diplomatici di Putin non riuscivano a salvare il regime. Ancora una volta l’esercito ha risolto la situazione con un intervento militare a settembre del 2015. Con perdite relativamente contenute, i militari sono riusciti a ribaltare la situazione nel conflitto, garantendo la sopravvivenza e il trionfo di Assad. Sembrava quasi di assistere ai vecchi interventi di soccorso della squadra di Šojgu, solo che stavolta l’obiettivo non era aiutare la popolazione, ma risolvere i problemi politici di Putin.
L’intervento in Siria è stato talmente efficace e apprezzato che nel 2019 l’esercito russo ha organizzato un’imponente mostra itinerante dei carri armati, delle mitragliatrici e degli altri armamenti sequestrati in Siria. Il “bottino” è stato trasportato in treno in sessanta località della Russia, da Mosca a Vladivostok. Lo hanno portato anche in Crimea. Spesso i treni erano accolti da folle in festa.
Il prestigio di Šojgu al Cremlino è cresciuto e sono aumentati anche i fondi per le forze armate. I successi in Crimea e Siria hanno avvicinato gli oligarchi all’esercito, favorendo lo sviluppo di un nuovo complesso militare e industriale. Paradossalmente, questo meccanismo è stato innescato dalle sanzioni occidentali imposte alla Russia dopo l’annessione della Crimea. Molti oligarchi avevano perso denaro e commesse in occidente, e per compensare quelle perdite lo stato li ha aiutati dandogli importanti contratti nel settore militare. Prima delle sanzioni la marina russa comprava i motori dalla tedesca Siemens, in seguito l’appalto è stato assegnato alla russa Ural mining and metallurgical company. Nel 2017 l’esercito era ormai una delle più potenti istituzioni del paese.
Nel 2019, mentre Putin cominciava a pianificare la sua campagna in Ucraina, è stato chiaro che a guidare le operazioni sarebbero stati Šojgu e le forze armate. Quando il consiglio di sicurezza russo si è riunito alla vigilia dell’invasione, i militari sono apparsi molto più in sintonia con Putin rispetto ai funzionari dei servizi di sicurezza. Dopo il riconoscimento russo delle repubbliche separatiste di Donetsk e Luhansk, il direttore dell’Fsb e il ministro degli esteri hanno agito come se fossero dei burattini che eseguivano gli ordini. Šojgu, invece, è apparso fiducioso e pronto a guidare la Russia verso la battaglia, dopo aver dedicato un decennio a trasformare l’esercito in una forza politica di primo piano.
Tentazione irresistibile
Nelle settimane che hanno preceduto l’invasione dell’Ucraina molti analisti dubitavano che Putin potesse davvero scatenare un’operazione su vasta scala.
Tuttavia, la militarizzazione della società russa e la rinascita delle forze armate per opera di Šojgu hanno rappresentato una tentazione irresistibile per il presidente, rendendolo impermeabile ai dubbi dell’intelligence e alle considerazioni diplomatiche.
Ora che l’assalto è in pieno svolgimento, sono chiare tutte le implicazioni della nuova strategia militare del Cremlino: non solo questa operazione è dominata da un esercito che ha apertamente scelto la guerra ma è anche guidata da Šojgu, un uomo che finora non ha conosciuto fallimenti e che non ha la formazione militare indispensabile per capire che una vittoria sul campo, per quanto impressionante, a volte può causare una catastrofe politica. ◆ as
Andrej Soldatov e Irina Borogan sono due analisti politici russi, specializzati nello studio dei servizi segreti. Gestiscono il sito Agentura.ru. Il loro ultimo libro è The Compatriots (PublicAffairs 2019).
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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati