Centinaia di persone si ritrovano in piazza dell’Esquilino, a Roma, ma anche a Napoli, Milano, Palermo, Torino e Bologna. Il 28 settembre, tre giorni dopo la vittoria della coalizione di destra guidata dalla leader postfascista Giorgia Meloni, il grido “siamo furiose” lanciato dal collettivo trans­femminista Non una di meno in occasione della giornata internazionale per il diritto all’aborto è risuonato in una quindicina di città italiane fino a sera.

Serena Fredda, che fa parte di Non una di meno dal 2016, l’anno in cui il movimento è stato fondato, è felice per il successo della “prima mobilitazione d’opposizione al futuro governo Meloni”. “Il riposizionamento dell’Italia in Europa sull’asse sovranista, razzista, antiabortista e transomofobo, e il rischio di contagio che può derivarne, è inquietante”, dice. Per l’attivista il movimento transfemminista è “uno spazio indispensabile di partecipazione politica di massa” attraverso cui può esprimersi una “critica radicale alla situazione esistente”. Una critica tanto più necessaria in un momento in cui il paese sembra spento, come anestetizzato da anni di delusioni politiche e di banalizzazione dell’estrema destra. Un paese in cui la cultura della lotta si è indebolita man mano che il centrosinistra perdeva voti e punti di riferimento.

“La sinistra è incapace di liberarsi dei suoi automatismi sessisti e maschilisti”, afferma la ricercatrice e attivista Marie Moïse

Idee superate sulla maternità

“Prima di essere una vittoria della destra, l’arrivo al governo di Fratelli d’Italia (FdI) segna soprattutto la sconfitta della sinistra, oggi inesistente dal punto di vista politico ed elettorale”, commenta Fredda. Sul Partito democratico (Pd), che in queste elezioni si è visto sottrarre molte roccaforti storiche, si concentra il grosso dell’amarezza. Durante la manifestazione del 28 settembre a Roma, Laura Boldrini, parlamentare del Pd ed ex presidente della camera dei deputati, è stata criticata aspramente da alcune giovani manifestanti che le hanno chiesto di lasciare piazza dell’Esquilino. “Cosa rappresenta?”, le hanno chiesto. “Rappresento dei princìpi e dei valori”, ha replicato debolmente Boldrini, dicendo che stavano sbagliando avversario. La risposta delle ragazze è stata: “Voi non avete fatto nulla per garantire l’accesso gratuito alla contraccezione. La pillola per interrompere la gravidanza è a pagamento. Ma per voi non è un problema. Sapete perché? Perché a voi non importa niente di chi vive nei quartieri popolari!”.

Lo scambio di battute ha fatto il giro dei social network e la dice lunga sul divario che separa ormai il centrosinistra da una parte della società italiana. Da dieci anni il Pd ha perso la fiducia delle classi più popolari del paese. Oggi conserva una base elettorale tra la classe media e medio-alta, con un buono stipendio e una buona istruzione. “La sinistra italiana è morta”, taglia corto la ricercatrice e attivista femminista Marie Moïse. “La crisi più grave riguarda il suo rapporto con il femminismo”.

Secondo Moïse, questa sinistra è stata di fatto “incapace di liberarsi dei suoi automatismi sessisti e maschilisti”. Un’affermazione condivisa da Nadia Somma, consigliera nazionale dell’associazione D.i.Re - Donne in rete contro la violenza. “Il Partito democratico ha una grande responsabilità per questa situazione”, dice all’indomani della vittoria di Giorgia Meloni. “A sinistra ci sono molte donne che valgono, però le hanno sempre tenute in secondo piano”.

Nessuna donna è mai diventata segretaria nazionale del Pd né è mai stata nelle condizioni di raggiungere i ruoli più importanti. Cosa che Giorgia Meloni non ha mancato di sottolineare nella sua campagna elettorale: “Ormai Letta e il Pd hanno detto di tutto contro di me. Perfino che sarei una donna nemica delle donne. Capisco il loro nervosismo: fanno tanta retorica sull’emancipazione femminile e poi l’unica donna che concorre a viso aperto per palazzo Chigi sta dall’altra parte. Spiace”, ha twittato il 22 settembre.

La filosofa Francesca Izzo, ex deputata e cofondatrice del movimento femminista Se non ora quando-Libere, racconta di aver lasciato il Pd cinque anni fa a causa di un disaccordo profondo sulle questioni legate alla maternità. Un argomento molto sensibile in Italia, dove “la figura della donna-madre, forte del suo potere centrale nella famiglia, è ancora molto significativa”, spiega a Mediapart la giornalista e saggista italiana Lea Melandri, una delle principali voci del femminismo del paese fino dagli anni settanta. “Non ci sono aiuti pubblici”, spiega Francesca Izzo. “È impossibile avere un bambino liberamente. Quando si è discusso dell’argomento nel Pd, i ‘progressisti’ si sono detti contrari a un’evoluzione dei diritti. Noi li abbiamo avvertiti che se non si fosse fatto qualcosa, il rischio era che la destra si sarebbe impossessata di questo tema”. Ed è proprio quello che ha fatto Giorgia Meloni nel corso della sua campagna elettorale. “Ha ripreso alcuni argomenti del femminismo, proponendo per esempio l’apertura di altri asili nido, ma andando sempre a parare sulla questione della difesa della vita”, dice Martina Avanza, che insegna sociologia politica all’università di Losanna, in Svizzera.

Pur rivendicando una politica fortemente orientata a favorire la natalità, Meloni ha tuttavia assicurato di non voler toccare la legge 194, che dal 1978 ha reso legale l’aborto. Ha invece dichiarato di voler “rafforzare” questa legge, garantendo alle donne “il diritto a non abortire”. Parole che hanno provocato una forte preoccupazione tra le femministe italiane. “Non rimetterà in discussione direttamente la legge 194 ma, come hanno fatto fino a oggi i movimenti pro-vita e i gruppi fondamentalisti cattolici, la renderà inapplicabile attraverso l’obiezione di coscienza dei medici e la colpevolizzazione delle donne”, afferma Melandri preoccupata.

In Italia l’accesso all’aborto è un percorso a ostacoli, soprattutto grazie a un meccanismo previsto dalla legge 194, che consente ai medici di avvalersi del diritto all’obiezione di coscienza per non eseguire interventi contrari alle loro convinzioni. Nel paese gli obiettori di coscienza sono il 70 per cento. In alcuni casi le regioni hanno ripristinato le restrizioni sull’uso della pillola abortiva, allentate durante la pandemia. È il caso delle Marche, guidate da Fratelli d’Italia. Anche Fredda teme che Giorgia Meloni “sfrutti le debolezze della legge, che hanno già sabotato senza doverla modificare. Ne ridurrà il campo d’azione, rafforzerà la presenza delle associazioni antiabortiste nelle strutture pubbliche, limiterà ulteriormente la somministrazione della Ru486, la pillola abortiva”, prevede l’attivista di Non una di meno. In un paese preoccupato per la natalità in calo, gli argomenti della leader postfascista hanno convinto una parte consistente della popolazione.

La manifestazione organizzata dal movimento femminista​ Non una di meno. Roma, 28 settembre 2022 (Matteo Minnella, A3/Contrasto)

Consenso sui valori tradizionali

“La cosa che fa più paura non è l’attacco diretto contro diritti come il divorzio o l’aborto, ma il consenso di cui purtroppo gode la sua lotta per i valori tradizionali”, riflette Melandri. “In Italia la cultura patriarcale è molto radicata”, conferma Somma. “Molti sono ancora convinti che le donne devono proteggere i valori tradizionali, a partire da quelli della famiglia. Ai loro occhi Giorgia Meloni è rassicurante perché contribuirà al mantenimento dello status quo”.

“Naturalmente la frase di Meloni ‘Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana’, è molto più rassicurante di una tipo ‘Sono Giorgia, sono femminista e rovescerò il patriarcato’”, sottolinea Martina Avanza. Difendendo “la famiglia naturale” contro quella che definisce la “lobby lgbt”, Meloni non ha provocato quasi nessuna polemica. “Le questioni di genere sono pressoché assenti dal dibattito pubblico”, osserva Melandri.

Seduta a un tavolo del bar della Casa internazionale delle donne, nel cuore di Trastevere, Somma ricorda che il motto della leader di FdI “Dio, patria, famiglia” è un “trittico classico del patriarcato”. “Meloni ha dichiarato di voler migliorare il tasso di natalità in Italia, come se la riproduzione fosse un ruolo per le madri e non una scelta libera. È un’eredità dell’era mussoliniana, durante la quale le donne dovevano dare figli alla patria”.

“L’estrema destra strumentalizza le tematiche femministe a scopi razzisti”, analizza la ricercatrice Marie Moïse. “Valorizza le donne dal punto di vista simbolico, costringendole nel ruolo di madri che assicurano il futuro della nazione bianca, per poter stigmatizzare con più efficacia gli uomini stranieri, come se fossero loro l’unico pericolo per le donne”. Durante la campagna elettorale Meloni ha messo su Twitter il video di uno stupro commesso da un immigrato con il solo scopo di parlare di immigrazione e sicurezza.

Il tema della violenza contro le donne è stato ignorato nella campagna elettorale. I giornali non hanno fatto domande al riguardo

In Italia la concezione cattolica della famiglia, presentata come valore supremo, è ancora molto diffusa nella società. Ed è proprio questa concezione che la ­leader di Fratelli d’Italia ha portato avanti per tutta la sua campagna elettorale, nonostante nelle varie famiglie ci siano situazioni molto diverse tra loro. “Noi continuiamo a ripetere che questo valore supremo non esiste”, osserva Somma. “Perché nelle famiglie ci sono casi di violenze contro donne e bambini, violenze che questo tipo di discorsi contribuisce a nascondere”. Il tema delle violenze contro le donne è stato ignorato in campagna elettorale. Nessun politico lo ha affrontato. I giornali non hanno fatto domande al riguardo. Un segnale di allarme per le femministe italiane, come ha scritto Melandri in una lettera aperta pubblicata dopo le manifestazioni del 28 settembre. “Perché questa ‘marea’ di ragazze/i dovrebbero votarvi, quando voi neanche li vedete, quando a nessun giornalista viene in mente di fare un’inchiesta sui bisogni, desideri, sogni di una generazione che ha molto da insegnarvi sulla crisi del modello di civiltà che abbiamo ereditato, patriarcale, capitalista, razzista e con insorgenze nostalgiche di regimi autoritari?”, chiede alle deputate e ai deputati.

È in effetti una domanda che merita di essere posta in un paese in cui il #MeToo ha avuto solo echi rari e deboli. “Il movimento femminista in Italia non è un movimento di massa”, si rammarica Marie Moïse. “Al momento non c’è progettualità politica. C’è un’ideologia femminista, delle opinioni femministe, ma nessun progetto”. Le pareti della Casa delle donne a Roma potrebbero testimoniarlo. In alcuni corridoi il tempo sembra essersi fermato. Il #MeToo, che ha permesso a molte donne nel mondo di farsi sentire, non ha varcato le porte dell’edificio.

La denuncia delle violenze sessuali e sessiste è ancora un fenomeno molto marginale in Italia. Le vittime hanno paura di esprimersi a causa delle conseguenze che potrebbero subire nella loro vita quotidiana. Diverse delle nostre interlocutrici fanno l’esempio dell’attrice e regista italiana Asia Argento, tra le prime a denunciare le aggressioni e gli stupri commessi dal produttore Harvey Weinstein. “È stata molto attaccata in Italia”, ricorda la filosofa Francesca Izzo. “Il contraccolpo è stato molto forte”, conferma Nadia Somma, dispiaciuta ma non stupita. “Gli attacchi contro i diritti delle donne non sono certo cominciati ieri”, precisa.

L’attivista ricorda in particolare la “mobilitazione dei padri divorziati” all’inizio degli anni duemila e “la propaganda massiccia sui canali di Berlusconi a favore dei ‘mariti abbandonati’”. “La questione del diritto delle donne a separarsi si è andata lentamente affievolendo a vantaggio del problema degli uomini che sarebbero stati abbandonati”, constata Somma. Da allora poco o nulla si è fatto per aiutare le italiane a conciliare carriera e maternità. “Le donne in Italia hanno perso qualsiasi garanzia di poter essere madri mantenendo una vita professionale”.

Precarietà, salari bassi e discriminazione. Il bilancio in materia di uguaglianza professionale tra donne e uomini è ancora piuttosto deludente. L’unica evoluzione significativa è stata l’adozione nel 2011 della legge sulle cosiddette quote rosa, in base alla quale oggi le società quotate in borsa e quelle a partecipazione pubblica devono includere nei loro consigli d’amministrazione (cda) almeno un terzo di donne. Grazie a questo provvedimento, nel giro di pochi anni si è registrato un aumento della presenza di donne dal 5,9 per cento al 36,3 nei cda.

Da sapere
Donne al governo
La presenza femminile nei governi degli ultimi trent’anni. (Camera dei deputati)

Meloni non ha mai fatto mistero della sua opposizione a questa legge, che vorrebbe abrogare. “Con un approccio deformato al tema della parità, Meloni ritiene che le donne debbano accedere ai posti di potere grazie alle loro competenze e non solo perché sono donne”, spiega Somma. La leader di Fratelli d’Italia porta come prova il suo percorso. “Io sono per il merito”, dichiarava al Corriere della sera a maggio del 2021. “Tu non devi andare al potere perché l’ha stabilito un uomo, ma perché sei la migliore. In Fratelli d’Italia è andata così”.

Transfemminismo

Come ha scritto di recente la ricercatrice di scienze politiche Vanessa Bilancetti sul sito DinamoPress, il successo folgorante di Meloni ha fatto riemergere nel dibattito pubblico italiano una “questione perversa”: “Non sarà forse una vittoria per tutte le donne se una donna diventa per la prima volta capo del governo?”. Molte femministe hanno risposto logicamente di no, facendo riferimento alle posizioni della leader di FdI. Ma l’argomento ha comunque svelato delle divisioni nella società italiana.

“Alcuni sostengono, con un certo sessismo, che il fatto che Meloni sia una donna ha reso più umano il volto dei postfascisti e più accettabile il voto per l’estrema destra”, deplora Fredda. L’attivista di Non una di meno fa parte di un collettivo che non si definisce “femminista”, ma “transfemminista”. “Un movimento internazionale e antirazzista in cui le donne trans, non binarie e di qualsiasi orientamento sessuale, così come le donne razzializzate, occupano uno spazio centrale”, approfondisce Bilancetti nel suo articolo. Un movimento che stravolge inevitabilmente il pensiero comune. Secondo la filosofa Izzo esiste “una cesura tra le generazioni femministe”. “Io appartengo a un femminismo della differenza. Sono una donna e voglio essere riconosciuta come tale”, dice. “La nuova generazione ha affrontato temi che hanno attraversato molto poco la generazione precedente”, completa il ragionamento Somma. “Questo ha causato una distanza. Ci sono per esempio delle differenze sulla prostituzione o sulla gestazione per altri. Due questioni che dividono il movimento femminista italiano e su cui sarà importante aprire un dibattito”.

Pur essendo formato soprattutto dalla nuova generazione, Non una di meno tiene in considerazione anche le lotte femministe storiche, che costituiscono, secondo Serena Fredda, “un punto di riferimento importante nel dibattito pubblico, nelle assemblee e nella pratica politica quotidiana”. “Poi c’è il femminismo liberale e una parte, molto residuale ma con una grande visibilità in Italia, che usa il femminismo come arma per riprodurre le relazioni di potere che dobbiamo combattere”, spiega l’attivista. “Con questo femminismo, posto che lo si possa ancora definire così, non c’è alcuna scissione perché non c’è mai stato dialogo”.

È in questo contesto di ricomposizione del movimento femminista che Giorgia Meloni si prepara a diventare la prima presidente del consiglio, e sono ancora le donne a mobilitarsi, nonostante i numerosi ostacoli che hanno costellato la storia delle femministe italiane e l’assenza di risposte istituzionali alle loro rivendicazioni, e anche se si è cercato di rendere invisibile la rabbia, che ha portato migliaia di persone a manifestare. “Il futuro è delle ragazze”, twittava a fine agosto la scrittrice italiana Valeria Parrella, commentando un video in cui delle giovani sarde stracciavano un manifesto di Fratelli d’Italia.

Reazione immediata

La vittoria del postfascismo, delle sue idee razziste, della sua cultura patriarcale e della sua aperta omofobia fa temere il peggio per i diritti delle donne e delle persone lgbt+. Come scrive Lea Melandri nella sua lettera aperta, però, la reazione immediata delle nuove generazioni suscita anche una grande speranza. “Conto sulla capacità del femminismo di scuotere le coscienze, di portare nelle piazze la sua rabbia ma anche il suo coraggio, la sua creatività, la sua capacità di aggregare tutto ciò che oggi si muove nella prospettiva di un ‘altro mondo possibile’”, conclude Melandri. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati