Louise Finch, originaria delle Midlands britanniche, lavora da decenni per le organizzazioni non profit occupandosi in particolare della salute e dei diritti delle donne. Con L’eterno ritorno di Clara Hart racconta la claustrofobia della violenza permettendoci di comprendere cosa significa vivere in una gabbia tossica, e soprattutto svelando i meccanismi della violenza di branco e del maschilismo che Finch ha sempre combattuto. Clara muore e risorge, muore di nuovo e il giorno dopo è sempre viva. Noi vediamo la storia con gli occhi di Spence. Da lui sappiamo che il suo amico Anthony ha molestato Clara. E dopo quella notte non c’è un giorno felice. C’è un giorno di morte. Una ragazza sconvolta che esce da una casa e che nella scena dopo è investita da un’auto. Da quel momento Spence rivive quel giorno, quel venerdì, in cui Clara è morta. E ogni volta Clara è viva. È lì che s’insinuano le domande, i dubbi, gli interrogativi: cosa è successo a Clara? Così la figura di Anthony, con la sua violenza e i suoi commenti sessisti, diventa centrale. Spence si chiede se può fare qualcosa, cambiare il destino di Clara, ma anche e soprattutto il suo. Perché il silenzio davanti alla violenza è a sua volta violenza. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 97. Compra questo numero | Abbonati