È bastata una settimana per ribaltare completamente una situazione militare e politica sospesa dal 2018, quando il regime siriano aveva ripreso il controllo della Ghuta orientale, la principale area controllata dai ribelli alla periferia di Damasco, dopo essersi assicurato nel 2016 il controllo di Aleppo, con l’aiuto dell’aviazione russa e della milizia libanese Hezbollah. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre il gruppo islamista Hayat tahrir al Sham (Hts), entrato in azione dieci giorni prima, ha scritto su Telegram: “Dichiaramo la città di Damasco liberata dal tiranno Bashar al Assad”.

Anche considerando la defezione dei due alleati del regime di Assad – la Russia, impegnata in Ucraina, e l’Iran, indebolito dalla guerra con Israele – un’avanzata così rapida dei ribelli siriani appariva impensabile. Partiti dal bastione di Idlib, nel nordovest del paese, hanno conquistato Aleppo, seconda città della Siria, prima di lanciarsi sulla strada principale che porta alla capitale, 360 chilometri più a sud. Arrivati in pochi giorni ad Hama, simbolo della dittatura del clan degli Assad fin dagli anni ottanta, il 7 dicembre i ribelli sono entrati a Homs, città che avrebbe dovuto rappresentare la principale linea di difesa della capitale.

Damasco è stata poi presa in una morsa dai ribelli arrivati dal nord e da quelli provenienti dalla provincia di Daraa, nel sud, città dove era cominciata la rivoluzione popolare del 2011 e la feroce repressione che ne è seguita. Contemporaneamente le forze governative si sono ritirate dalla provincia di Deir Ezzor, nella parte orientale del paese, davanti all’avanzata delle forze curde.

Un’azione così rapida dimostra che non è stato solo l’esercito del regime, mal pagato e demotivato, a crollare improvvisamente, ma che l’intero paese aspettava solo l’occasione di veder scomparire la dittatura degli Assad: il padre Hafez ha governato dal 1970 al 2000, il figlio Bashar per quasi un quarto di secolo.

Popolarità immediata

Dopo la caduta di Aleppo nelle mani dei ribelli molti abitanti hanno sottolineato che non c’erano mai stati tanto pane ed energia elettrica in città da quando era stata riconquistata dal regime nel 2016. È una testimonianza del fatto che la caduta di Assad, al di là delle considerazioni politiche e ideologiche, significa innanzitutto la fine di un regime che aveva spinto la corruzione e gli abusi a un livello tale da rendere insostenibile la vita quotidiana dei siriani e delle siriane.

L’immediata popolarità dei ribelli che hanno rovesciato Assad è anche legata al fatto di aver aperto le carceri delle città liberate. Alcune famiglie hanno così potuto ritrovare parenti scomparsi quando erano adolescenti e che oggi hanno superato i cinquant’anni. Le prigioni siriane erano tanto affollate e violente – con un uso della tortura quasi senza uguali – quanto inaccessibili, al punto che la Siria era chiamata il “paese del silenzio”. La paura legata ai mukhabarat, i servizi segreti della dittatura di Assad, in questi giorni ha cambiato campo, almeno in parte.

La mattina dell’8 dicembre nove persone sono apparse alla televisione pubblica siriana per annunciare la liberazione di tutti i prigionieri “ingiustamente” detenuti. I russi e gli iraniani, che si sono consultati a margine di un vertice a Doha il 7 dicembre, forse non sono riusciti o hanno rinunciato a salvare il regime di Assad, che invece avevano salvato nel 2014-2015, quando era ormai vicino al collasso.

Le informazioni fornite dal New York Times il 7 dicembre, basate soprattutto su fonti iraniane, affermavano che l’Iran aveva cominciato a far rientrare il personale diplomatico e alcuni dei consiglieri militari presenti a Damasco, lasciando intendere che Teheran aveva ormai scelto di non sostenere l’alleato siriano, lasciando campo libero ai ribelli.

Certamente è troppo presto per sapere se Hayat tahrir al Sham, frutto di una scissione del Fronte al nusra, che era affiliato ad Al Qaeda, abbia solo smussato la sua immagine o se abbia invece cambiato realmente ideologia e metodi. Negli ultimi tempi alcuni sviluppi nella città di Idlib, amministrata dal gruppo, lasciavano intravedere segnali concreti di apertura, in particolare la sostituzione di molti imam salafiti, sostenitori di un islam ultrarigorista, con imam sufi, decisamente più aperti. Dall’inizio dell’offensiva verso Aleppo il gruppo si è sforzato di rassicurare le minoranze di un paese multiconfessionale, molte delle quali avevano scelto all’inizio della guerra civile di sostenere Assad per paura dei jihadisti sunniti. Nelle zone liberate negli ultimi giorni i ribelli hanno ripetuto ai cristiani, ai curdi e perfino agli alawiti – la comunità di Assad – di voler creare una Siria democratica intrecciando tutte le componenti religiose e politiche.

“Dopo cinquant’anni di oppressione sotto il regime di Assad, tredici anni di crimini, tirannia e sfollati, e dopo una lunga lotta e uno scontro con ogni tipo di forza di occupazione, annunciamo oggi 8 dicembre 2024 la fine di quest’epoca buia e l’inizio di una nuova era per la Siria”, ha scritto Hts su Telegram. Mazlum Abdi, comandante delle Forze democratiche siriane, una coalizione dominata dai combattenti curdi, ha dichiarato in un comunicato: “Viviamo in Siria dei momenti storici in cui assistiamo alla caduta del regime di Damasco. Questo cambiamento è un’occasione per costruire una nuova Siria fondata sulla democrazia e la giustizia, che garantisca i diritti di tutti i siriani”.

Mohammad Ghazi al Jalali, primo ministro sotto il regime, si è detto pronto alla “cooperazione” con una nuova “leadership” scelta dal popolo (il 9 dicembre Mohammed al Bashir, che guidava l’amministrazione di Hts a Idlib, è stato incaricato di formare un governo per gestire il periodo di transizione fino al 1 marzo).

Per quanto riguarda i paesi occidentali, il ministero degli esteri di Parigi ha dichiarato che “la Francia saluta con favore la caduta del regime di Bashar al Assad”, parlando di un “giorno storico per la Siria e il popolo siriano”. La Germania, che era stata l’unico paese europeo a spalancare le sue porte ai rifugiati siriani in fuga dalla guerra, ha detto che “la fine di Assad rappresenta per milioni di persone in Siria un primo grande sollievo”.

Due esempi

Alcuni testimoni contattati dall’agenzia Afp hanno raccontato che l’8 dicembre molte persone si sono radunate nella piazza degli Omayyadi, nel centro di Damasco, e hanno abbattuto una statua di Hafez al Assad. Hanno detto anche che i soldati del regime hanno subito abbandonato le uniformi, mentre i colpi d’arma da fuoco risuonavano ancora in tutta la città.

Le immagini del palazzo presidenziale abbandonato da Assad e invaso dai siriani nello stesso giorno rievocano inevitabilmente quelle dei palazzi di Baghdad o di Tunisi dopo la fuga di Saddam Hussein e di Zine al Abidine Ben Ali. L’Iraq in seguito è sprofondato nella guerra civile e la Tunisia, dopo una rivoluzione democratica incompiuta, è ripiombata nell’autoritarismo. I due esempi impongono di ricordare che la cacciata di un dittatore non basta a garantire il destino democratico di un paese liberato dall’oppressione. Ma ricordano anche che la caduta di un tiranno dopo decenni di governo autoritario e sanguinario può trasformare un paese in profondità. Oggi la Siria fa indubbiamente un salto nell’ignoto, ma ritrova almeno la speranza. ◆ fdl

Cronologia
Una lunga dittatura

1946 Dopo la seconda guerra mondiale la Siria ottiene l’indipendenza da Parigi.

1970 Hafez al Assad, ministro della difesa ed ex comandante dell’aeronautica, conquista il potere. Si presenta come un socialista arabo, nazionalista e laico, ma instaura uno stato di polizia.

1982 L’esercito reprime un’insurrezione contro il governo ad Hama, uccidendo decine di migliaia di persone.

2000 Muore Hafez al Assad e sale al potere il figlio Bashar, che ha studiato nel Regno Unito ed è sposato con una banchiera britannico-siriana, Asma. Dopo un breve periodo di apertura politica e sociale noto come primavera di Damasco, Assad governa con il pugno di ferro.

2011 A marzo, sulla scia delle primavere arabe, scoppiano rivolte contro il regime. A novembre cominciano gli scontri tra l’Esercito siriano libero (Esl), formato da ufficiali disertori, e quello governativo.

2012 Ahmed al Sharaa, con il nome di battaglia di Abu Mohammed al Jolani, forma il gruppo jihadista Fronte al nusra, oggi Hayat tahrir al Sham (Hts).

2015 A gennaio i combattenti curdi respingono il gruppo Stato islamico (Is) a Kobane, con l’aiuto dell’Esl, dei peshmerga iracheni e degli Stati Uniti.
A settembre la Russia lancia i primi attacchi aerei a sostegno del regime.

2018 Il governo riprende la regione della Ghuta orientale, intorno a Damasco. In una zona cuscinetto proposta da Russia e Turchia nella provincia di Idlib, si radunano gli ultimi ribelli. Gli scontri continuano fino al marzo 2020, quando Mosca e Ankara firmano una tregua tra loro.

2019 A marzo le Forze democratiche siriane (Fds), a maggioranza curda e sostenute dagli occidentali, prendono il controllo dell’ultimo bastione dell’Is nell’est della Siria.

27 novembre 2024 Una coalizione ribelle guidata dall’Hts avanza su Aleppo, sorprendendo le forze del regime. Tre giorni dopo conquista la città. Poi prosegue verso Hama, Homs e l’8 dicembre entra a Damasco. È la fine del regime degli Assad. Financial Times, Rfi


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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati