Era ottobre quando la gravità della situazione è diventata evidente. Il numero di contagi cresceva ogni giorno. L’incidenza settimanale aumentava. I reparti di terapia intensiva erano sempre più in difficoltà. E la gente moriva, sempre più numerosa. All’inizio di novembre i morti in alcuni giorni erano già duecento. Eppure la politica continuava a tentennare.

Poco a poco sono state adottate delle misure per arginare la nuova ondata. Molte norme sono arrivate troppo tardi, e ci sono voluti mesi perché la situazione tornasse sotto controllo. Scuole e negozi hanno dovuto chiudere. Era chiaro a tutti: una cosa del genere non poteva ripetersi. Ma c’era speranza. Presto sarebbero arrivati i vaccini. Era la fine del 2020.

Ora, dopo un anno intero e dieci mesi di campagna vaccinale, sembra che nonostante tutto questo inverno sarà come il precedente. I contagi aumentano di nuovo quotidianamente, e di molto. Mai il numero di nuovi casi in un giorno è stato così alto come il 4 novembre 2021. In quella settimana il Robert Koch-Institut (Rki) ha registrato 37.120 nuovi contagi. Mai in tutto quest’anno l’incidenza settimanale è stata così alta come l’8 novembre, quando ha superato duecento casi ogni centomila abitanti.

E chi sperava che vaccinare due terzi della popolazione avrebbe almeno mitigato le conseguenze di una quarta ondata, ora non ne è più così sicuro. Le unità di terapia intensiva e i reparti covid si stanno riempiendo da settimane, questa volta con pazienti più giovani. Il 3 novembre il numero giornaliero di decessi ha superato nuovamente i duecento. E la politica?

Esita. Nonostante i tanti morti nelle residenze per anziani e i focolai nelle scuole, i ministri non vogliono imporre l’obbligo vaccinale né per gli operatori sanitari né per altri gruppi professionali. I provvedimenti vengono presi dai singoli stati federali a seconda della situazione locale. Negli stati dove i dati sono peggiori rispetto alla media nazionale la cosiddetta regola 2g, che permette l’ingresso nei ristoranti o agli eventi pubblici solo ai vaccinati e ai guariti, dovrebbe servire ad alleviare l’emergenza. Per esempio in Sassonia, che con più di cinquecento casi settimanali ogni centomila abitanti è lo stato più colpito di tutto il paese.

Il circondario con la più alta incidenza invece si trova in Baviera: a Bad Tölz-Wolfratshausen ha superato quota mille. Come può essere? E quanto è pericolosa questa forte circolazione del virus nel secondo anno di pandemia con i due terzi della popolazione già immunizzati? Certo non si può dire che questa evoluzione non fosse prevedibile.

Già in estate gli esperti avevano messo in guardia da un nuovo inverno di covid. Il motivo era, e continua a essere, il basso tasso di vaccinazione. Secondo le indicazioni dell’Rki almeno l’85 per cento, o meglio ancora il 90 per cento della popolazione, avrebbe dovuto completare il ciclo vaccinale per rallentare sufficientemente la diffusione del virus ed evitare il più possibile decorsi gravi. Al momento però solo il 67 per cento è stato immunizzato. E poiché la protezione non è illimitata, ma probabilmente dura circa sei mesi, il numero di persone veramente immuni è ancora più basso.

Ma la preoccupazione più grave riguarda i non vaccinati. In Germania 27 milioni di persone non hanno ricevuto il vaccino contro il covid-19, e secondo i sondaggi la maggior parte di loro non vuole farlo nemmeno in futuro. Dei quasi cinque milioni di guariti, quelli che non hanno ricevuto almeno una dose di vaccino non possono fare affidamento sull’immunità acquisita.

Il rischio rimane

Al virus rimangono quindi diversi ospiti potenziali. E questo è possibile per altri due motivi: primo perché la lunga durata della pandemia gli ha offerto la possibilità di evolversi. La variante delta, che al momento imperversa in Germania, è molto più contagiosa del virus che si è diffuso a partire da Wuhan.

Secondo, perché un’estate con pochi contagi ha portato alla revoca di molte restrizioni. Le scuole sono aperte, molte attività hanno ripreso il loro corso, la gente va al ristorante, i compagni di scuola si ritrovano numerosi, si festeggiano compleanni con gli amici, anche al chiuso. E anche se tutti i presenti sono vaccinati o guariti, questo evita di ammalarsi gravemente, ma non di essere contagiati e contagiare gli altri. Il rischio è ridotto, ma non annullato. Oltre ai molti non protetti, quindi, anche i vaccinati devono essere considerati nei calcoli epidemiologici.

Grazie ai vaccini la situazione è diversa rispetto allo scorso autunno, ma i parametri non sono cambiati. Le decisioni continuano a essere basate sull’andamento dell’incidenza settimanale. È un dato che riflette ancora bene la circolazione del virus e la pressione a cui saranno sottoposti gli ospedali. Solo una piccola parte dei contagiati si ammala gravemente o deve essere ricoverata in terapia intensiva. Tra i vaccinati questa quota è molto più bassa, ma più alta è l’incidenza e più alto è il numero di non vaccinati che viene colpito – e per loro non c’è nessuna differenza rispetto al 2020. Saranno loro a determinare la situazione negli ospedali.

Le cose si stanno già mettendo male. Il numero di posti disponibili in terapia intensiva è fortemente diminuito rispetto all’anno scorso, soprattutto a causa della carenza di personale. L’8 novembre in tutto il paese erano rimasti solo 2.886 posti e 377 respiratori. Per poter essere curati alcuni pazienti hanno dovuto essere trasferiti in altre strutture. Se l’incidenza dovesse aumentare al ritmo attuale, i posti si esauriranno presto.

Alcuni esperti hanno calcolato che un’incidenza nazionale di quattrocento casi ogni centomila abitanti basterebbe a saturare il sistema. Questo potrebbe avvenire già tra due settimane. Quindi la terza dose di vaccino arriverà troppo tardi. Gli esperti raccomandano già da tempo provvedimenti più rigidi. E questi dovranno essere tanto più duri, quanto più la politica aspetterà prima di agire. Ammesso che sia ancora sua intenzione salvare vite.◆ mp

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Questo articolo è uscito sul numero 1435 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati