Da quando ha dichiarato la sua guerra genocida, Israele ha più volte bloccato completamente i collegamenti internet nella Striscia di Gaza. Ogni blackout ha avuto conseguenze. Non potevamo tenerci in contatto con i familiari in altre parti della Striscia o con il mondo esterno.

L’ultimo blackout è durato più di una settimana. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha avvertito che ostacolava l’accesso delle persone a informazioni che potevano salvargli la vita e impediva di chiamare i soccorsi. Anche altre forme di assistenza sono state rese più difficili.

Rima Saadi, 35 anni, vive Khan Yunis e quando è cominciato il blackout si è preoccupata: “Forse Israele aveva un nuovo piano per ucciderci senza che il mondo lo sapesse? Ogni volta che mancava internet ci sono stati dei massacri. La cosa più frustrante è che Israele controlla tutti gli aspetti della nostra vita, anche quella online. Noi non controlliamo nulla”.

Khaled Lawz, vent’anni, racconta che i suoi vicini si sono riuniti ad ascoltare la radio: “Le notizie però erano scarse, nulla di paragonabile alla possibilità di contattare le persone direttamente”. Da quando è cominciata la guerra, anche suo padre segue le notizie sul telefono attraverso il canale YouTube di Al Jazeera: “Carica il telefono due volte al giorno all’Ospedale europeo, vicino a dove viviamo, così può restare connesso. Quando c’è stato il blackout si è agitato”.

Per distrarsi, Khaled ha passato il tempo a guardare le foto che aveva scattato prima della guerra: “C’erano luoghi bellissimi a Gaza. Vorrei che quello che stiamo vivendo fosse solo un sogno, e finisse presto. Ma purtroppo è la realtà e non sappiamo quando finirà”. ◆ fdl

Ruwaida Kamal Amer è una giornalista di Gaza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1547 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati