02 febbraio 2006 00:00

Qualche anno fa, me ne stavo seduta in un caffè di Londra con un amico scrittore. Lui era reduce da un incontro con un gruppo di ragazzi appena diplomati. Uno di loro gli aveva chiesto: “Perché ha deciso di fare lo scrittore?”. “Te lo immagini, no?”, mi aveva detto girando il cappuccino. “Gli ho raccontato qualche sciocchezza sulla gioia di scrivere, mentre il vero motivo per cui ho fatto lo scrittore è che volevo essere libero di andare in giro per Londra e sedermi ai caffè a chiacchierare con altri scrittori sul perché ho scelto questo mestiere”.

Per quelli di noi che non provengono da ambienti intellettuali, il fatto di essere uno scrittore conserva qualcosa di straordinario, dato da tutto quell’insieme di frivolezze che dovremmo disprezzare: le chiacchiere ai tavolini dei caffè, la promozione di un nuovo libro, la lettura minuziosa degli inserti culturali accompagnata da quell’ignobile sensazione di piacere nel leggere la stroncatura del libro di un altro.

Se per un attimo tralasciamo la solitudine, la paranoia e l’insicurezza economica, essere uno scrittore è un gran divertimento. C’è solo un particolare: bisogna scrivere. Ed è qualcosa che gli aspiranti scrittori talvolta sembrano non aver afferrato.

Come molti autori, partecipo spesso a incontri e dibattiti, e la domanda tipica è: “Come ha fatto a farsi pubblicare il primo romanzo?”. È una domanda assolutamente lecita. Quello che mi lascia perplessa è il suo presupposto. Quello che vorrebbero chiedermi in realtà è: “Che trucco hai usato? Svelami il tuo trucco, così potrò farmi pubblicare anch’io”. Mi dispiace, ma la risposta è: “Ho scritto un buon libro. E se volete essere pubblicati, dovete scriverne uno così anche voi”.

Nel corso di tutto il 2006, sulle pagine di questo giornale potrete leggere la mia rubrica intitolata “Un romanzo in un anno”. Ma è possibile scrivere un romanzo in un anno? Diciamo di sì, a patto che non facciate molto altro, che ci lavoriate parecchio e che abbiate talento. E in ogni caso, se seguirete i consigli di questa rubrica e farete gli esercizi che vi darò (sì, gli esercizi), quello che alla fine avrete tra le mani non sarà un romanzo, e forse nemmeno una prima stesura, ma il materiale grezzo su cui lavorare: quello che forse un giorno sarete in grado di plasmare e trasformare fino a farlo diventare un libro vero.

Quanto tempo ci vuole per scrivere un romanzo? Dipende. Io ho scritto il primo (Crazy paving) mentre lavoravo come segretaria part time, ero giovane e single: nessun impegno casalingo o familiare. Ci ho messo diciotto mesi. Quando stavo scrivendo il secondo, lavoravo come critico teatrale per un giornale domenicale, quindi potevo scrivere tutto il giorno e poi la sera andare a teatro.

Era il lavoro perfetto e infatti Dance with me l’ho finito in sette mesi. Il terzo romanzo, invece, è stato venduto all’editore sulla base di un progetto di una sola pagina. Aspettavo il mio primo figlio e promisi alla casa editrice che sarebbe arrivato prima il libro del bambino, ma mentivo sapendo di mentire. Quando mio figlio è nato, ero ancora al primo capitolo. Il mio compagno lavorava a tempo pieno e non avevo nessuno a cui lasciare il bambino; dovevo ancora finire il romanzo e avevamo già speso tutto l’anticipo per comprare la nostra nuova casa. Honey-Dew è stato scritto in otto mesi, e nel frattempo mi è venuto l’esaurimento (non a caso è il mio libro più breve).

Il quarto, Fires in the dark, era molto diverso dagli altri: i primi tre erano ambientati ai giorni nostri e avevano per protagoniste delle donne. Le vicende narrate non erano autobiografiche – Honey-Dew parla di una ragazza che uccide i genitori – ma l’ambientazione generale e il luogo in cui si svolgevano i fatti avevano molto a che fare con la mia vita.

Fires in the dark, invece, è ambientato nell’Europa centrale e parla di un giovane rom. Nato in un villaggio della Boemia, il ragazzo cresce negli anni trenta della crisi economica e dell’ascesa nazista. Durante la guerra viene internato in un lager, riesce a fuggire e partecipa alla liberazione di Praga nel maggio del 1945. Il libro è lungo il triplo rispetto a Honey-Dew e per finirlo ci ho messo quattro anni e mezzo.

Insomma, quanto ci si mette a scrivere un romanzo? Il vostro v’impegnerà in proporzione alle vostre forze, però in tutta onestà devo dirvi che, se non ne avete mai scritto uno e avete un lavoro o una famiglia o – dio non voglia – entrambi, calcolate circa tre anni per finirlo.

Il primo anno è solo un assaggio, serve a buttare giù l’argomento e provare a farlo stare in piedi. Poi vi rimarrà ancora un’enorme quantità di lavoro. Sempre interessati? Bene, tra un minuto cominciamo. Prima però dobbiamo stabilire una serie di cose (non molte, a dire il vero) che questa rubrica assolutamente non prevede: la rubrica non – e sottolineo non – vi fornirà indicazioni su come pubblicare il vostro romanzo. Qualsiasi lettera o messaggio con richieste sul modo migliore per contattare agenti letterari o editori sarà posto su una pira rituale allestita nel mio giardino e bruciato.

Riuscire a farsi pubblicare un libro sembra impossibile (e spesso lo è) ma, se non ne avete ancora scritto uno, direi che è l’ultimo dei vostri problemi. La vostra unica preoccupazione dev’essere la scrittura. Scrivete il libro, scrivetelo bene e poi riscrivetelo ancora meglio.

Mi dispiace ma non potrò nemmeno leggere i manoscritti, di nessun tipo; su questo devo essere categorica, altrimenti non scriverei più una riga per tutto il resto dell’anno. C’è qualcosa che farò, comunque. Potrete mandarmi le vostre prove di scrittura e io via via le commenterò.

Speditele alla redazione di Internazionale, oppure a: romanzo@internazionale.it. Sul sito di Internazionale (www.internazionale.it/romanzo) saranno disponibili tutti i miei articoli e gli esercizi della settimana. Ogni tanto darò un’occhiata per controllare come andate.

Ancora un avvertimento. Ho insegnato scrittura creativa in un corso serale: gli studenti meno dotati erano sempre quelli che si presentavano con un sorrisetto stampato sulla faccia. Erano convinti di essere di gran lunga i più intelligenti della classe e che l’unico motivo per cui non erano ancora scrittori come me era una gigantesca congiura, di cui ovviamente anch’io facevo parte. Da un lato si prostravano ai miei piedi, dall’altro erano sicuri di non aver nulla da imparare e in fondo disprezzavano se stessi e i loro compagni solo per il fatto di essere in quella classe.

Ecco quindi il motto di questa settimana: abbiamo tutti qualcosa da imparare. Perfino Ian McEwan, Margaret Atwood o Toni Morrison hanno ancora qualcosa da imparare, e la ragione per cui sono dei grandi scrittori è che lo sanno. E che ogni volta, su ciascun libro, fanno un lavoro enorme.

“Ogni volta che devo cominciare un romanzo”, ha detto la scrittrice Susan Hill, “lo immagino come una montagna e mi dico: ‘Oh no, questa volta hai in mente di andare troppo in alto’”. Se ti limiti a restare seduto a considerare l’idea di scrivere un intero libro, ti sembrerà un’impresa sconfinata e irrealizzabile. Bisogna smontare quest’idea spaventosa scomponendola nelle sue parti essenziali, e questo è proprio quello che faremo nei prossimi dodici mesi. “L’arte della scrittura”, ha detto una volta Kingsley Amis, il padre di Martin, anche lui scrittore, “è l’arte di dare alla sedia della tua scrivania l’esatta forma del tuo fondoschiena”. E allora, cominciamo.

Prendete carta e penna e completate questa frase: “Il giorno dopo il mio ottavo compleanno mio padre mi disse…”. Se vi va, scrivete anche più d’una frase, ma una è già sufficiente. Se volete, potete mandarmi per email quello che avete scritto. La prossima settimana parleremo di incipit e quella successiva pubblicherò alcune delle vostre frasi.

Mentre sarete lì a fare il compito, magari sentirete una vocina sarcastica che vi sussurrerà all’orecchio cose tipo: “Ma non essere stupido, non sei in grado di scrivere un romanzo”. Oppure: “Che idiozie! Sono troppo intelligente per questa roba!”. Entrambi questi pensieri sono sbagliati ed entrambi devono essere ignorati. Tutti hanno cominciato da qualche parte, anche Lawrence Sterne, anche Emily Brontë, anche Nadine Gordimer. Adesso chiudete il giornale e andate a prendere carta e penna. Si parte.

Esercizi

Spedite le le vostre prove di scrittura a romanzo@internazionale.it

Le vostre email verranno pubblicate nella pagina degli esercizi, e Louise ogni tanto commenterà le più interessanti.

Un avvertimento: Louise non vi fornirà indicazioni su come pubblicare il vostro romanzo, né potrà leggere i vostri manoscritti.

Internazionale, numero 627, 2 febbraio 2006

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