05 maggio 2010 00:00

Il 18 febbraio Joe Stack, un ingegnere informatico di 53 anni, si è schiantato con un piccolo aereo contro il palazzo del fisco di Austin, in Texas, uccidendo se stesso e un’altra persona e provocando vari feriti.

Prima di farlo, Stack ha scritto un manifesto contro lo stato per spiegare i motivi del suo gesto. La storia parte da quando, adolescente, viveva in miseria ad Harrisburg, in Pennsylvania, vicino a quello che un tempo era un centro industriale. La sua vicina, che aveva più di ottant’anni e si nutriva di cibo per gatti, era “la vedova di un metallurgico.

Suo marito aveva sgobbato tutta la vita nelle acciaierie della Pennsylvania con la promessa che avrebbe avuto la pensione e l’assistenza medica. Invece era stato uno delle migliaia che non avevano avuto nulla, perché i manager incompetenti dell’acciaieria e i sindacalisti corrotti avevano sperperato i fondi pensione dei lavoratori e rubato le liquidazioni”.

Stack allora decise che non poteva fidarsi delle grandi imprese e che si sarebbe messo in proprio, ma ben presto scoprì di non potersi fidare neanche di uno stato a cui importa solo dei ricchi e dei privilegiati.

Stack attribuiva tutti questi mali a un ordine sociale in cui “bande di ladri come le case farmaceutiche e le società di assicurazioni possono commettere atrocità impensabili, sapendo che, se rischiano di rimanere schiacciati sotto il peso della loro ingordigia, il governo federale correrà in loro aiuto nel giro di pochi giorni”.

Alcuni interessanti studi sulla rustbelt, la regione industriale del nordest degli Stati Uniti, raccontano storie altrettanto scandalose di persone abbandonate senza scrupoli quando, grazie ai programmi concordati tra le industrie e lo stato, le fabbriche sono state chiuse e intere comunità sono state devastate.

Chi pensa di aver fatto il suo dovere verso la società, rispettando il patto con il suo datore di lavoro e con lo stato, è facile che si senta tradito quando scopre di essere stato usato solo per ottenere profitti e potere.

Secondo uno studio della ricercatrice dell’Università di California Ching Kwan Lee, sta succedendo qualcosa di simile anche in Cina. Lee ha confrontato la disperazione dei lavoratori dei settori industriali in crisi negli Stati Uniti e di quella che chiama la rustbelt cinese, il nordest industriale della Cina, ora abbandonato perché il capitalismo di stato ha deciso di sviluppare il sudest.

Nella zona industriale cinese i lavoratori si sono sentiti traditi come i colleghi statunitensi, ma nel loro caso il tradimento è stato quello dei princìpi maoisti di solidarietà e impegno sociale che pensavano fossero alla base del patto con lo stato. In tutto il paese decine di milioni di lavoratori licenziati “sono afflitti da un profondo senso di insicurezza” che suscita “rabbia e disperazione”, scrive Lee.

I suoi studi sulla rustbelt statunitense ci fanno capire che non dovremmo sottovalutare l’indignazione che si nasconde dietro l’amarezza, spesso autodistruttiva, nei confronti del potere dello stato e delle imprese.

Negli Stati Uniti il movimento dei Tea party riflette questa delusione.

Il suo estremismo antifiscale non è tecnicamente suicida come la protesta di Joe Stack, ma è autodistruttivo. La California ne è un esempio drammatico. Stanno smantellando il più grande sistema mondiale di istruzione superiore pubblica. Il governatore Arnold Schwarzenegger dice che, se il governo non gli darà sette miliardi di dollari, dovrà eliminare l’assistenza sanitaria e i servizi sociali.

E altri governatori stanno minacciando di fare lo stesso. Intanto un nuovo e potente movimento per i diritti degli stati chiede al governo federale di non interferire nei loro affari. Un bell’esempio di quello che in 1984 Orwell chiama “doppio pensiero”: la capacità di credere contemporaneamente in due idee contraddittorie è il marchio dei nostri tempi.

Le difficoltà della California nascono in buona parte dal fanatismo antifiscale. E la stessa cosa succede anche altrove. L’ostilità contro il fisco è da tempo il tema principale della propaganda del mondo degli affari. La gente dev’essere spinta a odiare e temere lo stato, per un ottimo motivo: tra i sistemi di potere esistenti, lo stato è quello che in teoria, e a volte anche in pratica, rende conto alla popolazione e può impedire ai poteri privati di depredarla.

Anche nella propaganda contro lo stato ci sono però delle sfumature. Il mondo degli affari, ovviamente, preferisce uno stato forte che lavora per le multinazionali e le istituzioni finanziarie, e le tira fuori dai guai quando distruggono l’economia. Con un brillante esercizio di doppio pensiero, i cittadini sono spinti a odiare i deficit di bilancio.

Così i signori di Washington possono tagliare servizi e diritti, ma poi salvano banche e imprese. Però, al tempo stesso, non devono essere contrari a ciò che crea davvero il deficit, come le spese militari sempre più alte e l’inefficiente sistema sanitario privato.

Forse il modo in cui Joe Stack e altri come lui esprimono il loro dissenso è assurdo. Ma sarebbe opportuno cercare di capire cosa provoca le loro azioni. Perché oggi le persone che hanno ottimi motivi per lamentarsi si mobilitano in modi che mettono in serio pericolo loro e gli altri.

*Traduzione di Bruna Tortorella.

Internazionale, numero 845, 7 maggio 2010*

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