12 novembre 2012 16:04

L’atmosfera di un festival è determinante per il suo successo. Quanti festival, al di là di tappeti rossi, grandi firme in cartellone e qualità generale della selezione, funzionano perché si svolgono in un determinato posto o perché possono contare sull’entusiasmo di una comunità di riferimento.

L’Auditorium di Roma è un posto clamoroso per organizzare un festival, ma è difficile appropriarsene. Chi organizza la manifestazione, il pubblico che la segue assiduamente e l’intero popolo che la anima non riescono a scalfire l’adamantina scorza della meravigliosa struttura che andrebbe prima o poi involgarita, almeno da una fermata della metropolitana.

Ma finché rimane così, secondo me, sarà difficile dare un’identità, un carattere a un festival la cui identità e il cui carattere, per ora, a prescindere dal direttore, sono oscurati dalla struttura che li ospita, dalle difficoltà di raggiungerla. Lo stesso Maxxi, che dovrebbe essere parte integrante del festival e del programma, sembra distante anni luce, specie se diluvia.

Comunque. Un’atmosfera lunare e spersonalizzata potrebbe essere ideale per assorbire un film. Certo dipende. Dall’ultimo post ho visto Main dans la main, commedia romantica di Valérie Donzelli, Alì ha gli occhi azzurri di Claudio Giovannesi, e l’australiano Mental di P.J. Hogan. Tutti bellini, ma troppo pochi. Colpa mia: non riesco a conciliare un festival e la città in cui vivo. Qui se ti scordi il cellulare a casa, non basta fare un salto in albergo/pensione/camera/tenda. Devi riattraversare la città, rischiando, come minimo, di scivolare sul misto di guano, fuliggine e fango che quando piove rende il lungotevere più “scorrevole” di una pista di bob.

(Mental)

Il film di Valérie Donzelli è tutto una danza, ma alla fine ci lascia con la voglia intatta di vedere i protagonisti lanciati in una vera scena di ballo. Un peccato, forse. Davvero simpatica Valérie Lemercier, che dimostra anche un fisico invidiabile.* Alì ha gli occhi azzurri* racconta la settimana di Nader, un adolescente di Ostia con origini egiziane. Nel film c’è molta carne al fuoco, materiale buono per almeno tre o quattro pellicole. Forse troppo. La cosa che mi è piaciuta di più è il mix arabo-romanesco di Nader, che riassume anche la sua posizione, in bilico tra mondi distanti. La commedia di P.J. Hogan, Mental, infine, è molto ben riuscita. Si ride, si piange, si gioisce e ci si imbarazza insieme alle meravigliose ragazzine protagoniste. La sceneggiatura (bipolare) si perde qualche pezzo per strada. Temo molto il doppiaggio in italiano, mentre invece l’accento australiano è parte integrante della follia del film.

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