11 novembre 2010 00:00

I ricercatori e i professori di prima e seconda fascia che insegnano materie scientifiche nelle università italiane sono 39.512. Il 16,8 per cento di questi, cioè 6.640 docenti, non hanno pubblicato nessun articolo scientifico nelle riviste censite dal Web of science dell’Institute of scientific information (Isi) nel quinquennio 2004-2008.

Altri 3.070 docenti hanno pubblicato articoli, ma non sono mai stati citati da altri studiosi. Insomma, quasi un quarto di questi professori non ha avuto nessun impatto sul progresso scientifico. L’attività di ricerca è un privilegio di pochi: il 23 per cento dei docenti ha realizzato il 77 per cento degli avanzamenti scientifici, misurati in termini di citazioni.

In Italia non ha molto senso parlare di università migliori di altre. Ci sono scienziati o gruppi di ricerca migliori di altri, indipendentemente dagli atenei di appartenenza. Distribuiti a macchia di leopardo, nessuno di questi centri raggiunge quella massa di eccellenza critica necessaria per competere a livello internazionale.

Gli studenti italiani più capaci si distribuiscono in modo piuttosto uniforme tra gli atenei e ricevono una formazione che riflette la dispersione di qualità dei loro docenti.

Questa realtà richiede una politica che favorisca più efficienza produttiva nel sistema di ricerca pubblico. Basterebbe finanziare le università dando più peso all’attività di ricerca, con graduatorie inizialmente differenziate per grandi aree geografiche. Gli atenei sarebbero così incentivati a migliorare il reclutamento dei docenti e a stimolare l’attività di ricerca.

Internazionale, numero 872, 12 novembre 2010

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