16 maggio 2013 09:00

Dalle università del mondo arrivano segnali di sconforto. I tagli dei finanziamenti sono generali, dal Giappone agli Stati Uniti. In Francia le maggiori università protestano contro i *ranking *internazionali, ma qualcuno insinua che la protesta nasconda l’amara scoperta della perdita del primato che aveva la Francia.

Negli Stati Uniti continuano le acri denunce di William Panna­packer, quarantenne professore universitario di letteratura, che vorrebbe distogliere i giovani dagli studi di

humanities. Nel Regno Unito i professori di ogni materia lamentano le scarse retribuzioni e gli studenti la mancanza di posti di lavoro sicuri per laureati.

Con piglio ironico l’Economist suggerisce agli studenti: andatevene a studiare “burgerologia” alla McDonald’s university. Ma oltre le ironie, la cosa è seria. Le università di McDonald’s sono nate negli anni sessanta, la prima in Illinois, altre a Tokyo, Sydney, Monaco e dal 1989 a Londra. L’accesso non è facile, è più facile, dicono, entrare a Harvard. Gli aspiranti arrivano da tutto il mondo a migliaia, all’inizio poco preparati e con poca autostima.

A Londra ne selezionano uno ogni quindici. L’impegno dei corsi, di tre livelli, è severo, competitivo. Si studiano inglese, matematica, igiene e attività pratiche, dal grill all’amministrazione, attraverso case study in video, in stile Kahn academy, con eventuale traduzione simultanea per i non anglofoni. Chi esce ha un lavoro garantito e potrà diventare un dirigente (quelli di McDonald’s pare vengano tutti solo dal basso).

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