Evan Gershkovich, il corrispondente del Wall Street Journal arrestato in Russia, è un ostaggio. Il presidente Vladimir Putin è coinvolto in una barbarie di stato: è il primo arresto di un corrispondente statunitense accreditato a Mosca da quando lui è al potere, e il primo dalla fine della guerra fredda. I giornalisti statunitensi in Russia sono minacciati e sorvegliati e devono ottenere un visto per lavorare nel paese, ma finora non erano mai stati incarcerati.

I detrattori e gli oppositori di Putin hanno spesso subìto violenze o sono stati uccisi. Anna Politkovskaja fu assassinata nel suo condominio, il dissidente ed ex funzionario del Kgb Aleksandr Litvinenko fu avvelenato con un tè radioattivo, il leader dell’opposizione Boris Nemtsov fu ucciso vicino al Cremlino, l’attivista Alekseij Navalnyj e il politico Vladimir Kara-Murza sono detenuti ingiustamente. Gershkovich è stato arrestato a Ekaterinburg dal Servizio federale di sicurezza (Fsb) per essersi procurato informazioni riservate sulle “attività di un’azienda del complesso militare-industriale della zona”. Mosca, inoltre, ha introdotto sanzioni penali per chi getta discredito o diffonde informazioni false sulle forze militari che operano in Ucraina. Chiunque può essere arrestato con un pretesto minimo.

Con Gershkovich l’Fsb forse spera di ottenere gli stessi vantaggi avuti dall’arresto della star statunitense del basket Brittney Griner, scambiata con il trafficante d’armi Viktor Bout. Sarà un caso se l’arresto si è verificato dopo che il 31 marzo la giustizia americana ha incriminato un agente della Gru, l’agenzia di intelligence militare russa, pronto a diventare una spia a Washington?

Gershkovich non è una pedina da scambiare. Fare il giornalista non è un reato. Dev’essere rilasciato subito. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1506 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati