Probabilmente non si troveranno altri sopravvissuti. Questo significa che circa seicento persone che erano a bordo del peschereccio partito dalla Libia e diretto verso le coste europee potrebbero essere morte quando l’imbarcazione si è capovolta la notte fra il 13 e il 14 giugno nel Mediterraneo. I passeggeri erano in gran parte di origine pachistana, afgana, egiziana, palestinese e siriana. Secondo alcune fonti, i pachistani annegati potrebbero essere trecento. È una tragedia che si ripete, perché la crisi economica, politica e climatica spinge sempre più spesso le persone a lasciare il proprio paese.

Chi dev’essere ritenuto responsabile? La guardia costiera greca, che non era lontana e che tra l’altro aveva comunicato con i passeggeri del peschereccio prima che affondasse? Secondo alcune fonti, avrebbe cercato di trainare l’imbarcazione.

È una tragedia che si ripete, perché in molti paesi la crisi economica, politica e climatica spinge le persone a partire

Forse questo ha contribuito alla tragedia? Ma la domanda più urgente è un’altra: perché in presenza delle autorità marittime è successa una tragedia così grande? Solo un’inchiesta esaustiva e imparziale potrà stabilire cosa sia successo tra il momento in cui le autorità sono state avvertite della presenza dell’imbarcazione sovraffollata e quello in cui il peschereccio si è rovesciato.

La speranza di un futuro

Purtroppo il mancato aiuto da parte delle autorità costiere fa parte della più ampia politica xenofoba dell’Europa per tenere i migranti lontani dai suoi confini. Tuttavia non dipende solo dall’Europa se le persone nei paesi in via di sviluppo, come il Pakistan, decidono di partire. Non è la prima volta che dei pachistani muoiono in mare, ci sono stati diversi incidenti. Uno particolarmente straziante, a febbraio di quest’anno, ha coinvolto l’atleta Shahida Raza, che non poteva permettersi le cure mediche per il figlio piccolo in Pakistan ed è affogata quando la barca su cui si trovava insieme a decine di altre persone si è schiantata contro gli scogli a Cutro, in Italia. Raza voleva dare un futuro migliore al figlio.

Il dramma è proprio questo: un governo inetto ha fatto molto poco per reprimere la vasta rete di trafficanti di esseri umani che derubano persone disperate e le mettono su una strada piena di pericoli. È significativo che pochissime famiglie delle vittime del naufragio del 14 giugno abbiano denunciato i trafficanti. Forse pensano che sia completamente inutile o temono ritorsioni delle autorità. È già grave che un governo non garantisca la sicurezza economica ai suoi cittadini e li spinga a emigrare. È un crimine quando decide d’ignorare una questione che è diventata una crisi di proporzioni enormi. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati