Si teme siano più di seicento le vittime del naufragio di un peschereccio stracarico di persone al largo della Grecia meridionale la notte tra il 13 e il 14 giugno. Queste morti accendono ancora una volta i riflettori sulla rotta migratoria più letale del mondo e sull’incapacità dell’Europa di affrontare una delle sue sfide più grandi.

Dal 2014, quando l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha lanciato il suo programma sui migranti dispersi, si stima che 27mila persone siano morte o scomparse nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo. Più di 21mila hanno perso la vita lungo la cosiddetta rotta del Mediterraneo centrale dalla Libia o dalla Tunisia verso nord, la Grecia o l’Italia. È una traversata che può richiedere diversi giorni, fatta spesso a bordo di imbarcazioni insicure e sovraccariche.

Divisione

La maggior parte dei migranti diretti in Grecia oggi passano dalla Turchia, raggiungendo via mare le isole orientali oppure attraversando il fiume Evros lungo la frontiera terrestre. Il loro numero è drasticamente diminuito da quando il governo di Atene ha intensificato i pattugliamenti marittimi e costruito una barriera al confine.

Dal momento che il viaggio a piedi dalla Grecia verso l’Europa occidentale o settentrionale comporta anche il passaggio, spesso impervio, dei Balcani, molti migranti oggi cercano di evitare la Grecia. La maggioranza si dirige verso l’Italia, che ha registrato 55.160 arrivi “irregolari” in Europa finora, più del doppio di quelli del 2022. Queste persone arrivano soprattutto dalla Costa d’Avorio, dall’Egitto, dalla Guinea, dal Pakistan e dal Bangladesh.

La rotta del Mediterraneo centrale nel frattempo sta diventando più letale. Secondo un rapporto dell’Oim diffuso ad aprile, almeno 441 persone sono annegate nella traversata tra gennaio e marzo di quest’anno, il trimestre peggiore dal 2017. Si sa che altre seicento, che hanno tentato la traversata tra aprile e maggio, sono morte o risultano disperse, portando il totale del 2023 ad almeno 1.039 vittime, prima del naufragio del 14 giugno. La cifra reale, considerati i tanti naufragi mai registrati, è sicuramente molto più alta.

L’Oim non fa nomi ma punta il dito contro i governi di alcuni paesi mediterranei, dove le operazioni di ricerca e salvataggio (Sar) condotte da organismi statali sono state ritardate e le navi gestite dalle ong ostacolate.

L’Italia ha imposto pesanti restrizioni e perfino sequestrato alcune navi umanitarie, mentre la Grecia è da più parti accusata di respingere le persone in Turchia, impedendogli illegalmente di chiedere asilo, cosa che Atene ha sempre negato.

Nel complesso il numero di persone che cercano di raggiungere l’Europa resta molto al di sotto del picco del 2015 e 2016, in parte grazie all’intesa del 2016 tra Unione europea e Turchia e al contestato accordo del 2017 con la Libia, che di fatto esternalizza i soccorsi alla guardia costiera libica.

Ma quel numero è in aumento e, con la diffusione dei sentimenti d’odio verso i migranti e la pressione politica nel continente, la questione resta uno dei problemi più grandi dell’Unione, profondamente divisa al suo interno.

Gli stati meridionali “di frontiera” da tempo sostengono il peso maggiore; quello più ricchi, i paesi “di destinazione”, nel Nordeuropa sono spesso riluttanti a condividere il fardello e gli stati centrali e orientali più intransigenti (come Ungheria e Polonia) rifiutano di accogliere i richiedenti asilo.

Dopo anni di discussioni, l’8 giugno i leader dell’Unione europea hanno annunciato una svolta nei negoziati per un nuovo patto sulle migrazioni e le procedure di esame e ricollocamento dei richiedenti asilo, che prevede il pagamento di ventimila euro per ogni persona che il singolo paese non accoglie.

Saranno i singoli stati, invece che l’Ue nel suo complesso, a determinare quali paesi sono “sicuri” per i migranti che non sono stati giudicati idonei a presentare richiesta d’asilo, dando agli stati europei una maggiore flessibilità.

Pochi progressi

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha anche dichiarato che l’Unione sta valutando di fornire più di un miliardo di euro in aiuti alla Tunisia per salvare le finanze pubbliche del paese e aiutarlo ad affrontare la sua crisi migratoria.

Tuttavia, molti sostengono che sono stati fatti pochi veri progressi nella creazione di percorsi sicuri e legali per i richiedenti asilo in Europa, e che si pone troppa enfasi sulla limitazione delle domande di asilo e sulla criminalizzazione delle attività di ricerca e soccorso.

“Ogni vita persa è una tragedia”, ha dichiarato il 15 giugno Maria Clara Martin, rappresentante dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati in Grecia. “Queste morti potevano essere evitate semplicemente creando strumenti più sicuri di accesso per le persone costrette a scappare da conflitti e persecuzioni”.

Secondo Gianluca Rocco, capo missione dell’Oim in Grecia, è “urgente un’azione concreta e coordinata da parte degli stati per salvare vite in mare e per ridurre i viaggi pericolosi, ampliando le rotte migratorie sicure e regolari”.

Le cause di fondo che spingono tante persone a mettersi in viaggio per l’Europa – guerre, disastri naturali, crisi climatica, povertà, disuguaglianze e insicurezza alimentare – non spariranno presto. ◆ fdl

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 25. Compra questo numero | Abbonati