I massacri di civili israeliani compiuti da Hamas sono stati paragonati agli attenti dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti per la loro spaventosa brutalità. Alcuni punti in comune ci sono. All’indomani dell’attacco di Hamas, per esempio, c’è stata un’ondata di razzismo antiarabo. E hanno cominciato a circolare astruse teorie del complotto antisemite. La solidarietà con Israele è stata travolgente. E il fatto che i crimini di Hamas siano stati celebrati anche in Germania ha giustamente provocato orrore. Glorificare l’omicidio non può essere tollerato. Perché alla propaganda possono seguire i fatti, come dimostra l’uccisione di un insegnante in Francia.

Ma oltre all’antisemitismo, sui social media sono apparsi anche i pregiudizi contro i palestinesi, identificati senza distinzioni con il terrorismo di Hamas e guardati con sospetto. Alle scuole di Berlino è stata data la possibilità di vietare simboli come la kefiah palestinese, considerati capaci di “mettere in pericolo la pace scolastica”. Anche la bandiera palestinese è stata confiscata. Sia chiaro: non quella di Hamas, ma quella della Palestina, che sventola anche davanti alle Nazioni Unite a New York.

Già prima dei fatti più recenti, in Germania non c’era quasi spazio per le voci palestinesi, che ora rischiano di sparire del tutto. La polizia interrompe le manifestazioni di solidarietà, perfino quelle di attivisti ebrei e israeliani. A Berlino vivono più di ventimila persone di origine palestinese. In Germania sono circa centomila. Molte hanno familiari nella Striscia di Gaza e assistono con ansia alla campagna militare israeliana. A chi manifesta pacificamente per la fine della violenza dev’essere garantita la libertà d’espressione e di associazione. Dovremmo ascoltare queste persone .◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati