Dal 2014 circa tre milioni di persone hanno cercato di raggiungere l’Europa in maniera irregolare. “Tra loro ci sono molti genitori che viaggiano con i figli”, dice Marieke van der Velden. La fotografa olandese, insieme al regista Philip Brink, ha creato il progetto Children of the labyrinth (Bambini del labirinto), in cui sono raccolte le testimonianze fotografiche e video di alcuni genitori migranti. Per il progetto, Van der Velden e Brink hanno chiesto a madri e padri di scrivere una lettera che i loro figli leggeranno quando saranno più grandi, in cui raccontano il loro viaggio e cosa li ha spinti a partire. Le lettere sono state scritte mentre le famiglie erano bloccate in Grecia dopo essere fuggite da vari paesi, tra cui Afghanistan, Iran e Siria. “Il progetto è stato realizzato in stretta collaborazione con i genitori che, mossi dalla speranza di offrire una vita migliore ai loro figli, si sono trovati intrappolati in un labirinto pericoloso e umiliante, fatto di muri, respingimenti, trafficanti di esseri umani e tendopoli”, racconta la fotografa.

Le storie raccolte da Van der Velden e Brink, sebbene diverse, sono accomunate dal coraggio dei protagonisti, che hanno affrontato terribili ostacoli pur di trovare un posto sicuro in cui vivere. Insieme alle foto, sono stati realizzati alcuni cortometraggi, tra cui un video sull’intero progetto, in cui tutte le lettere s’intrecciano. ◆

Marieke van der Velden è una fotografa olandese. Questo progetto è stato realizzato con il regista Philip Brink. I video si possono vedere su internazionale.it e childrenofthelabirynth.eu

Prisca & Happyness
Prisca ha avuto un’infanzia difficile con la sua famiglia adottiva di Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo. Quando è nata sua figlia Happiness, la donna ha sospettato che qualcuno volesse uccidere la bambina, così ha lasciato il paese. Dopo varie tappe è arrivata in Turchia e infine in Grecia. Mentre scriveva la sua lettera, stava provando a ricostruire una vita insieme alla figlia ad Atene.
“Non ho detto a nessuno che ero incinta. Quando sei venuta al mondo, ho provato una sensazione meravigliosa. Una specie di miracolo mi aveva dato te, questa piccola Barbie, la mia bambina. Arrivate al campo profughi non avevamo un posto dove dormire e faceva molto freddo. Ti ho vegliato mentre dormivi tra le mie braccia. Ho pianto tutto il tempo, notte e giorno. Con lo status di residente che dovremmo ottenere presto, sembra che le cose andranno bene. Non ho parole per esprimere quanto sei importante per me. Sappi che ti proteggerò sempre”.
Aisha (Malika) & Haroon
Fuggiti dall’Afghanistan nel 2019, Aisha e i suoi tre figli sono arrivati in Turchia dopo un mese di viaggio. Poco tempo dopo però hanno ricevuto anche lì le stesse minacce e subìto le stesse discriminazioni del loro paese d’origine e sono partiti per la Grecia. Dopo vari tentativi, nell’ultimo viaggio hanno dovuto passare undici ore in acqua, prima di essere soccorsi da una ong. Hanno vissuto in strada per dieci giorni, al freddo e sotto la pioggia, prima di arrivare nel campo profughi di Salonicco. Hanno passato più di sei mesi in una tenda condivisa con altre famiglie.
“I miei figli hanno sofferto molto in quel posto, avevano cicatrici su mani e viso. Io ho sofferto di problemi mentali e fisici di ogni tipo. Pensavo che la Grecia fosse un paese umano, ma la realtà è stata molto diversa. Non so quale dei miei dolori raccontare. Come quando mio figlio Haroon ha avuto un incidente ed è stato operato per cinque ore. Ancora oggi non si è ripreso del tutto. Quell’incidente ha avuto un impatto negativo su di lui. Il campo è un luogo molto difficile”.
Nazir-Ahmad & Yasna
Yasna è nata il 13 dicembre 2016 in Iran da genitori afgani. Quando ha compiuto un anno e mezzo, la famiglia ha lasciato il paese per provare a raggiungere l’Europa e offrire un futuro migliore a lei e a suo fratello. Per due anni e mezzo hanno vissuto in una tenda nel campo profughi di Moria, in Grecia, tra estati torride e inverni freddi e pungenti.
“Volevamo assicurarci che la vita dei nostri figli fosse libera dalla paura, dalla discriminazione e dalla disuguaglianza che avevamo vissuto noi. Non ho mai preso in considerazione l’idea di tornare in Afghanistan per ragioni che ti spiegherò in seguito. Avere una figlia è stata una parte importante di questa scelta. Non volevo che crescesse nel dolore e nella sofferenza, né che vivesse in una società che da anni rinchiude le donne e le ragazze. Non dimenticherò mai i pericoli che hai vissuto nel vecchio campo di Moria. Me ne faccio una colpa ogni giorno. Piccola mia, spero di portarti in un luogo dove sarai libera di vivere e studiare. Un luogo che ti permetta di diventare una persona di successo, utile alla società e al mondo, e di realizzare i tuoi sogni”.
Fabiola & Soan
Fabiola è fuggita dal Camerun. Ha subìto maltrattamenti, stupri, ed è stata rapita due volte. Aveva perso ogni speranza. Quando ha scoperto di essere incinta i suoi rapitori volevano ucciderla, ma poi ha trovato un gruppo di persone che si stavano preparando a fuggire, che hanno accettato di portarla. Ha cominciato a chiedere l’elemosina per raccogliere i soldi necessari per il viaggio e alla fine è riuscita ad arrivare in Grecia.
“Il mio caso è stato riconosciuto come prioritario e in meno di un mese sono stata trasferita in un rifugio adorabile, dove si sono presi cura di noi, dal terzo mese della mia gravidanza fino al sesto mese della tua esistenza. Il giorno della tua nascita è stato difficile, da sola in ospedale durante uno dei periodi peggiori di quell’anno, a causa della pandemia di covid. Mi sentivo ancora una volta sola e impaurita, ma sapevo che presto sarebbe finita perché avrei avuto te. Così ho continuato a lottare per sopravvivere all’operazione per il tuo bene. Ho promesso a me stessa di sostenerti per la tua istruzione e la realizzazione dei tuoi sogni. Oggi siamo ancora alla ricerca di documenti, ma sono felice di averti dato sicurezza e lo farò per sempre”.
Latifa & Mozhda
Nel 2018 Latifa, insegnante di inglese, è fuggita dall’Afghanistan insieme alla sua famiglia. Dopo un periodo difficile in Iran e in Turchia, sono saliti su un gommone diretto in Grecia. Quando ha scritto questa lettera si trovavano nel campo di Moria, dove sono costretti a vivere da più di tre anni in attesa che la loro quinta richiesta d’asilo sia accettata. “Mozhda, figlia mia, sei nata bianca come la neve e soffice come il cotone. Questa non è la vita che meriti”.
Iman & Mahmoud
Iman è fuggita dalla Siria insieme al marito e al figlio Mahmoud a causa della guerra. Dopo un viaggio di due settimane attraverso la Turchia, sono arrivati a bordo di un gommone sull’isola di Lesbo, in Grecia, dove, dopo un anno e mezzo di attesa nel campo di Moria, la loro richiesta di asilo è stata accolta. “Questo terribile viaggio era l’unico modo per darti una vita migliore.”

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati