Estefanía Rivera Guzmán e Carol Rojas si dedicano a contare le morti. In particolare, quelle delle donne uccise dagli uomini. Sono due delle quattro volontarie dell’osservatorio colombiano sul femminicidio che, basandosi sui mezzi d’informazione locali, regionali e nazionali, tiene traccia dei casi di violenza maschilista nel paese. Nel 2023 l’osservatorio ha registrato 511 femminicidi, più di uno al giorno.

“Psicologicamente non è facile”, ammette Rojas, seduta a un tavolo all’aperto del café Ruda, nel centro di Medellín. L’ha aperto insieme all’associazione femminista che finanzia l’osservatorio, la Rete femminista antimilitarista.

“A volte mi assale l’ansia”, dice. Ma lavora con un obiettivo ben chiaro in mente: “Fermare la violenza”. Rivera Guzmán, la coordinatrice dell’osservatorio, ha 37 anni e viene dalla Estrella, una frazione del comune di Yarumal, circa tre ore a nord da Medellín. Ne parla come di un luogo dal passato violento. Accanto a lei c’è Carol Rojas, la direttrice della Rete femminista antimilitarista, 35 anni, vestita completamente di nero, occhiali da sole compresi. È cresciuta a Doce de Octubre, sulle colline di Medellín, una zona che un tassista locale definisce “un postaccio”. Insieme hanno creato un progetto importante.Pubblicano bollettini mensili di settanta pagine sulla violenza di genere in Colombia. Partecipano alle tavole rotonde sul tema organizzate dal comune di Medellín e dal dipartimento di Antioquia. A loro volta organizzano conferenze, workshop, mobilitazioni e meccanismi di protezione e assistenza per le vittime. Antioquia è uno dei dipartimenti più conservatori del paese: “In questo territorio di destra, noi resistiamo”, afferma Rivera Guzmán.

Il loro lavoro è sintetizzato nel Reporte dinámico (Rapporto dinamico) sul femminicidio, disponibile sul sito dell’osservatorio. Rapidamente, con qualche clic, questo strumento traccia un quadro abbastanza completo dei femminicidi in Colombia. Fornisce informazioni su diciotto diverse categorie di uccisioni: i femminicidi per dipartimento (nel 2023 il più violento è stato quello di Antioquia), la fascia d’età della vittima (la maggioranza di quelle identificate ha tra i 20 e i 39 anni), il rapporto che aveva con il criminale, il lavoro della donna uccisa, l’arma usata e perfino il metodo per eliminare il cadavere.

Similitudini

L’osservatorio è nato nel 2012, quando Guzmán e Rojas si sono rese conto “dell’alto numero di donne uccise nel centro di Medellín”. Hanno cominciato a raccogliere dati sui femminicidi compiuti nel quartiere della Candelaria. All’epoca erano solo in due e gestivano “un foglio excel rudimentale”. Poi il progetto è cresciuto: sono passate a registrare informazioni su tutta la città, poi sulla valle dell’Aburrá, la regione che circonda Medellín. Nel 2017 l’osservatorio è diventato nazionale.

Rivera Guzmán e Rojas sono tra le persone più esperte di femminicidi in Colombia. Passano ore a controllare i mezzi d’informazione e a leggere notizie sugli omicidi. Entrambe vanno regolarmente in terapia: “Dobbiamo prenderci cura della nostra salute mentale”, spiegano. A volte devono staccare per due o tre giorni, perché la violenza le travolge. In alcuni casi riescono a individuare elementi sfuggiti alla procura, com’è successo nel 2019.

Rivera stava documentando i femminicidi nella valle dell’Aburrá quando ha notato alcuni casi simili tra loro. Nel giro di pochi mesi erano state uccise cinque donne nel comune di Bello, alla periferia di Medellín, vicino a due stazioni della metropolitana. Erano tutte madri uscite di casa per andare a lavorare la mattina presto. Erano state uccise con armi da taglio e trovate seminude in zone boschive. Doveva trattarsi di un serial killer.

Insieme alle sue colleghe, Rivera Guzmán ha realizzato un rapporto speciale per mettere in guardia la popolazione della regione. Asesinos seriales. El caso de Bello-Antioquia è stato pubblicato nel settembre 2019. Nel marzo 2023 la procura di Medellín ha accusato Carlos Andrés Rivera Ruiz di aver ucciso tre donne tra il 2019 e il 2020. Gli inquirenti hanno offerto 200 milioni di pesos (circa 45mila euro) “per informazioni utili a localizzare il femminicida”, ancora a piede libero. Una delle vittime, Ruth Estella Álvares, compare nel rapporto speciale dell’osservatorio. Rivera e Rojas sono sicure che Rivera Ruiz sia il femminicida seriale.

Nonostante il lavoro dell’osservatorio, il numero dei femminicidi in Colombia non è chiaro. Il governo non ha un sistema d’informazione ufficiale. Per anni la procura, l’osservatorio e altre organizzazioni hanno fornito cifre divergenti. Storicamente quelle della procura sono state molto più basse di quelle dell’osservatorio, a volte anche della metà.

Secondo Rivera e Rojas la differenza dipende dal fatto che loro danno una definizione più ampia di femminicidio. Parlano di “omicidio di una donna che lancia un messaggio di potere”, mentre la procura si riferisce in modo più tecnico e legale alla “morte di una donna legata alla sua condizione di donna o alla sua identità di genere”. Nel 2023 per la prima volta la procura e l’osservatorio hanno fornito cifre molto simili: entrambi hanno riportato più di cinquecento casi.

Rivera Guzmán e Rojas definiscono il loro lavoro “attivismo dei dati”. Si battono per “una Colombia in cui le donne abbiano condizioni di vita diverse”. Sperano che i dati e l’attivismo possano favorire un cambiamento e “rendere visibile l’invisibile”. Non sanno di preciso quale sia la soluzione per ridurre l’alto numero di femminicidi nel paese. È un problema complesso, che affonda le sue radici in anni di maschilismo, povertà e cultura del crimine e della violenza. Ma sono certe che “mettere in prigione gli uomini che commettono un femminicidio non è l’unica soluzione”. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati