Quentin Dupieux sforna film sempre più leggeri. E l’ultimo sembra una sintesi perfetta del suo cinema. Una rappresentazione teatrale è interrotta da uno spettatore, che si sente preso in giro. Lo dice forte e chiaro e non esita, pistola alla mano, a prendere in ostaggio l’intera rappresentazione di cui si sentiva a sua volta prigioniero. Il film si avventura in questa sospensione in cui avviene la rottura del patto tra teatranti e pubblico. Il film fa emergere la figura dell’eterno dimenticato del cinema d’autore: lo spettatore “medio” che per la prima volta si afferma come soggetto. Ma non è un eroe e attraverso il suo deragliamento Dupieux ci fa intravedere una strana ferocia che nello spazio codificato del teatro esprime la violenza sociale repressa dai costumi culturali.
Mathieu Macheret, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati