Il 3 febbraio 2024 il presidente Macky Sall , interrompendo il processo elettorale all’ultimo minuto e in maniera illegale, ha fatto precipitare il Senegal in un torpore senza precedenti e l’ha spinto a imbarcarsi in un viaggio dal futuro incerto. L’annullamento delle presidenziali previste il 25 febbraio è il culmine del piano di smantellamento della democrazia che il regime porta avanti da più di dieci anni.

Accusando di corruzione – cosa ancora da provare – alcuni giudici del consiglio costituzionale, Sall ha rovinato definitivamente la tradizione democratica senegalese, con la complicità di alleati di circostanza all’assemblea nazionale. Eppure, allo stato attuale, non aveva i poteri per farlo. Nella storia unica del Senegal non ci sono precedenti che l’autorizzassero a prendere una tale decisione, che probabilmente segnerà un punto di svolta. Sall ha inferto un duro colpo al calendario repubblicano, che rendeva il Senegal un paese unico e fiero, ed era il barometro della sua vitalità politica.

Motivi contestabili

La scelta di abrogare il decreto dello scorso novembre che convocava gli elettori alle urne è indiscutibilmente in contrasto con i princìpi basilari del diritto e della democrazia. Le argomentazioni di fondo usate dal presidente sono false e inconsistenti, e la decisione stessa vìola le regole costituzionali.

Con un tono che voleva essere solenne, Sall ha esposto le sue ragioni. Ha esordito parlando di una crisi istituzionale derivata dallo scontro tra l’assemblea nazionale e il consiglio costituzionale (il tribunale di grado più alto nel sistema giudiziario senegalese, incaricato di approvare la lista definitiva dei candidati alle presidenziali). Secondo alcuni deputati del Partito democratico senegalese, che avevano sollecitato la creazione di una commissione d’inchiesta parlamentare, la lista definitiva dei candidati alle presidenziali sarebbe stata compromessa dalla corruzione di alcuni giudici del consiglio costituzionale.

Agli occhi di Sall, la semplice creazione di questa commissione è stata sufficiente per stabilire che ci fosse una crisi. Ma è un’argomentazione fallace, che non regge a un’analisi seria. Il presidente ne ha approfittato per compiere il suo illecito. Se anche ci fosse davvero una crisi istituzionale, la costituzione indica dei modi per risolverla, che tuttavia non si sposano con l’atteggiamento dispotico del capo dello stato. Invece di essere il garante del buon funzionamento delle istituzioni, Sall ha contribuito a seppellire la repubblica. La vera crisi è quella che deriverà dalla sua mossa senza precedenti.

Il presidente ha cercato di giustificare la sua decisione anche appoggiandosi al fatto che una candidata alle presidenziali non aveva solo la nazionalità senegalese, in contrasto con i requisiti della costituzione. Ha quindi ritenuto opportuno indossare il suo mantello di “guardiano della costituzione” per evitare che lo scrutinio fosse falsato. Ma non ce n’era bisogno, perché anche in questo caso la legge fondamentale prevede delle soluzioni.

Sall si è arrogato prerogative che non gli spettavano. La sua mossa è in contrasto con la costituzione, quando stabilisce che i giudizi del consiglio costituzionale sono vincolanti per tutte le autorità amministrative e giudiziarie. Bloccare la lista dei candidati è indubbiamente un rifiuto di attuare una decisione di quell’organo: la lista può essere modificata solo dal consiglio costituzionale e per motivi ben precisi. La fonte della crisi istituzionale è quindi la diffidenza del potere politico (il presidente della repubblica e l’assemblea nazionale) nei confronti del consiglio costituzionale, arbitro supremo del gioco elettorale.

È evidente che da anni questo regime tiene i senegalesi in uno stato di crisi quasi permanente, con soldati che scompaiono in circostanze oscure, con le morti di manifestanti, le intimidazioni, gli arresti, la criminalità, le persecuzioni giudiziarie, le malversazioni, la corruzione, il negazionismo e l’impunità. Oggi, in nome degli interessi di un singolo uomo e del suo clan, con il falso pretesto di una crisi istituzionale, il Senegal ha fatto un passo indietro nella sua storia democratica.

La posta in gioco è la sopravvivenza dell’idea di repubblica, cioè la volontà di vivere insieme e di reinventare periodicamente la società. È inaccettabile voler compromettere a vantaggio di un uomo, di un partito, di un gruppo di cortigiani d’altri tempi il futuro di una nazione che, il 19 marzo 2000, ha conosciuto la sua prima alternanza politica democratica, dimostrando la ferma volontà d’inventare un presente e un futuro di democrazia, giustizia, libertà, equità e convivenza armoniosa.

I senegalesi devono ribellarsi all’inganno, esigere il rispetto del calendario elettorale, fare in modo che il consiglio costituzionale ristabilisca lo stato di diritto, per ripristinare la repubblica e il suo ideale di convivenza. ◆ adg

Questo testo è un estratto della lettera aperta firmata da più di 110 docenti universitari senegalesi che insegnano nel paese o all’estero. Tra i promotori ci sono il giurista Babacar Guèye e il filosofo Felwine Sarr. La lettera è stata pubblicata il 5 febbraio su diversi giornali senegalesi.

Da sapere
Le tappe della crisi

20 gennaio 2024 Il consiglio costituzionale del Senegal pubblica la lista definitiva dei candidati alle elezioni presidenziali. Sono esclusi Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade e candidato del Partito democratico senegalese; e Ousmane Sonko, leader dell’opposizione, che sta scontando una condanna a due anni di carcere, secondo i suoi sostenitori voluta dal governo per impedirgli di candidarsi.

3 febbraio Il presidente Macky Sall annuncia il rinvio delle elezioni previste il 25 febbraio.

Centinaia di persone scendono in strada a protestare, mentre sui social media si diffondono i messaggi contro il governo con l’hashtag #FreeSenegal.

5 febbraio Continuano le proteste. Il governo blocca l’accesso a internet. La sera l’assemblea nazionale convalida la decisione di Sall e fissa le nuove elezioni per il 15 dicembre. Al voto non partecipano i deputati dell’opposizione, che sono trascinati via dall’aula dalle forze di sicurezza dopo aver provato a fare ostruzionismo.

6 febbraio Si dimettono due ministri del governo, in disaccordo con Sall. La Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale chiede al presidente di ripristinare il vecchio calendario elettorale. Rfi, Le Monde, Africanews


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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati