Circa la metà delle settemila lingue “strane” parlate nel mondo dovrebbero sparire entro la fine del ventunesimo secolo, soprattutto a causa di colonialismo e capitalismo. Paradossalmente il luogo più diversificato al mondo sul piano linguistico è New York. In Language city, il linguista, scrittore e traduttore Ross Perlin racconta la sua esperienza come fondatore dell’organizzazione Endangered language alliance che è riuscita a identificare circa 700 lingue parlate nella città. Il libro di Perlin non è un lamento funebre per lingue morenti ma un tentativo di ricostruire come queste siano riuscite a sopravvivere. I colonizzatori dell’isola che gli indigeni in lingua lenape chiamavano Manaháhtaan non si preoccupavano di imporne una unica e già nel 1643 un prete scrisse di averne individuato 18 tra poche centinaia di individui. Perlin sottolinea che la storia delle lingue meno note di New York corrisponde a quella dei traumi subiti da chi le ha “importate in città”, spesso fuggiti da genocidi, deportazioni, violenza razziale e fame.
The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati