D ue anni dopo l’invasione dell’Ucraina, e a pochi giorni dalle elezioni presidenziali del 17 marzo, in Russia l’opposizione politica appare frammentata e quasi definitivamente neutralizzata. Chi ha osato criticare il Cremlino è andato incontro all’esilio, all’arresto o all’omicidio, mentre lo stato continua a usare la minaccia di pesanti condanne carcerarie per stroncare ogni dissenso. Eppure, sotto la superficie, le cose stanno in modo diverso.

La silenziosa ribellione dei “nastri verdi”, indossati per indicare il rifiuto della guerra, il moltiplicarsi di riunioni online e una rete sempre più vasta di case editrici e circoli clandestini sono tutti segnali dell’esistenza di un movimento, diffuso e decentralizzato, che sta lentamente mettendo radici in Russia. Spinti dalla speranza di un futuro di libertà, questi attivisti fanno da contrappunto alla narrativa imposta dal Cremlino e accolgono nelle loro organizzazioni chiunque voglia restare in Russia e combattere dall’interno.

Tra il ronzio delle stampanti 3d e il bagliore degli schermi dei computer, attraverso la telecamera posso osservare, sullo sfondo, un indaffarato spazio di coworking a Mosca. Una ragazza mi dà il benvenuto in uno dei “piccoli rifugi” dell’opposizione. Nonostante la confusione e l’aria di informale improvvisazione, mi spiega che tutte le attività del gruppo – dall’organizzazione di conferenze allo spionaggio informatico – hanno un obiettivo comune: coinvolgere la popolazione nella battaglia per un futuro migliore. Il gruppo agisce nell’anonimato, che favorisce la sicurezza e permette la condivisione del lavoro. Ma i rischi non mancano. Poche settimane fa uno degli attivisti è stato arrestato con l’accusa di aver finanziato “un’organizzazione estremista”. Alla fine è stato rilasciato. La vicenda conferma però che gli attacchi contro qualsiasi forma di opposizione politica sono in netto aumento, una tendenza preoccupante già evidente prima della guerra.

Spiare le email di funzionari governativi e ostacolare il loro lavoro sarebbe pericoloso in qualsiasi stato del mondo, figuriamoci in Russia e in tempo di guerra. Tuttavia, come spiega un attivista, combattere dall’interno significa anche avere maggiori probabilità di successo. Tra i militanti del gruppo solo pochi vorrebbero lasciare la Russia. Restano per amore del paese, spinti dal desiderio di sfidare le politiche oppressive dello stato.

Cancellare le tracce

Nel cuore di San Pietroburgo in una tipografia segreta si stampano a ciclo continuo testi proibiti. Tra i titoli di questo samizdat del ventunesimo secolo ci sono gli opuscoli di Prisma Queer e del Feminist anti-war resistance, il quotidiano The Moscow Times e il leggendario The Anarchist cookbook. Anche se tutto sembra piuttosto caotico, il processo è estremamente meticoloso. “Per noi non è mai stato facile”, ammette Maria, che si occupa della stampa dei documenti. “Prima della guerra pubblicavamo letteratura, soprattutto libri queer e scritti di autori considerati dal regime ‘agenti stranieri’, che nessuna casa editrice prendeva in considerazione. Per questo intervenivamo noi”. La casa editrice in cui lavora Maria non è un caso unico, ma fa parte di un gruppo ristretto di tipografie clandestine che lavora ancora con strumenti analogici e che adotta metodi di resistenza all’antica.

Mentre la Russia rischia di ritrovarsi completamente isolata dal mondo esterno, soffocata da un sistema di controllo in stile cinese, gli attivisti sperano che i loro materiali possano rappresentare una fonte alternativa di informazione.

Maria racconta che fin dall’inizio della guerra la casa editrice ha dovuto adottare misure di sicurezza estreme. Nel caso in cui siano scoperti, gli attivisti hanno a disposizione dei tritadocumenti e barili pieni di benzina per cancellare le tracce del loro lavoro. “Siamo orgogliosi della fiducia degli autori, quindi cercheremo di tenere in vita questo lavoro finché sarà possibile”, spiega Maria.

Come già prima della nascita della Federazione Russa, i movimenti universitari cercano di resistere, ma combattono una lotta sempre più difficile, perché lo stato è determinato a stringere la presa sugli atenei e sul più ampio movimento studentesco. Egor, giovane attivista di una delle tre maggiori università della Russia, partecipa alle attività di un gruppo anarchico. Anche se alcuni lo chiamano “professore”, dedica il suo tempo libero a discutere con gli altri studenti di anarchismo e dei possibili approcci politici per ottenere un cambiamento, offrendo uno spazio a chi vuole condividere le proprie opinioni e trovare un riscontro per i propri lavori. “È più facile di quanto sembri. Certo, ci sono molti rischi, ma anche se ci perseguitano per le nostre iniziative, portarle avanti è abbastanza facile. Usiamo le risorse e gli spazi dell’università a loro insaputa, in un certo senso li rivendichiamo. Approfittiamo di ciò che lo stato ci mette a disposizione senza che lo stato se ne accorga”, spiega Egor.

“Ma le cose stanno diventando più complicate. La guerra ha spaventato molte persone e le ha costrette al silenzio, mentre altre si sono radicalizzate e chiedono azioni immediate. Cerco di insegnare ai più giovani, ma anche a quelli dell’ultimo anno, come combattere in modo efficace e anche in sicurezza. Alcuni professori ci sostengono, ma non possono farlo apertamente, quindi spargono la voce sulle nostre riunioni e sulle possibilità di resistenza”.

Le organizzazioni clandestine sempre più spesso assicurano uno spazio sicuro a chi vuole combattere il regime senza dover sacrificare la propria libertà.

La grande campagna per la raccolta di firme a sostegno della candidatura alle presidenziali di Boris Nadeždin, su posizioni democratiche e contrario alla guerra, il crescente sentimento antibellico tra i più giovani ma anche tra i più anziani e le frustrazioni di chi inizialmente sosteneva la guerra sono tutti segnali che il desiderio di una “Russia libera” esiste ancora. La situazione, insomma, è meno disperata di quanto possa sembrare. Mentre la guerra va avanti e le elezioni si avvicinano, Egor è convinto che l’omicidio di Aleksej Navalnyj, morto in carcere il 16 febbraio, possa rappresentare “un catalizzatore per il cambiamento e l’unità politica delle opposizioni”. ◆ as

I nomi di tutte le persone citate in quest’articolo sono stati cambiati per la loro sicurezza. L’autrice Ada Blakewell è una giornalista indipendente e attivista queer russa, non binaria e transgender. Novaja Gazeta Europe è la versione pubblicata in esilio, a Riga, in Lettonia, della rivista indipendente russa diretta dal premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov.

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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati